Viviamo tempi oscuri, tempi di conformismi, di torpore intellettuale e morale, tempi di revisionismi, negazionismi, di cattiva memoria e pessima coscienza, tempi di deca-dimento, di snervamento e indifferenza, di affossamento degli ideali, di spaventoso de-grado, anche linguistico, di una società impestata dalla logica del profitto e da quella o-scena patologia che chiamiamo successo. In un quadro così grigio e avvilito, anche nelle sue lettere, trovarsi davanti a un’opera come questo Confinato di Maria Jatosti, restitui-sce la speranza - o l’illusione - che l’arte, la letteratura, e perfino singolo un libro, pos-sano in qualche modo incidere sull’andamento delle cose del mondo. O almeno nobil-mente provarci.
Libro di memoria, il Confinato, come tutti gli altri di questa scrittrice che della me-moria ha un vero culto. Come lei stessa ha dichiarato: “Ad ogni nuova avventura [lette-raria] mi trovo di fronte al grande mare della memoria. Quella storica, di tutti, e quella minima, privata, personale. Il rischio è di venirne inghiottita, sopraffatta, di soccombere alla carità feroce dei ricordi o di alterarli sovraccaricandoli di significati, simbologie, mitizzazioni. Essenziale allora è mantenere saldo il controllo della navigazione, avendo ben chiari la rotta e il porto. Capita a volte che i ricordi si impastino coi sogni e ci spro-fondino in una stupefazione atterrita: certe ombre troppo lunghe, certi bagagli troppo ingombranti possono rischiare di rendere greve il respiro. Ma senza memoria saremmo ciechi, andremmo a tentoni. Senza memoria non potremmo fidarci del domani, immagi-nare gli anni che verranno e che ci restano da vivere. Tenacemente. Ad occhi aperti. Nonostante tutto.”
Uscito a Milano nel ‘61, finalista al Viareggio e poi ingiustamente dimenticato, Il confinato, che oggi esce in una edizione rivisitata e rinnovata anche nella veste grafica di grande impatto e suggestione, racconta la storia del padre dell’autrice, al quale è de-dicato, un maestro elementare, antifascista, “comunista dal 21”, mite e sognatore, padre di numerosi figli, marito incompreso e bistrattato di una donna comune, frustrata e pa-vida, sorvegliato dalla polizia, arrestato nella grande retata del ’39, incarcerato e confi-nato dal regime, e poi nell’Italia liberata e postbellica, frastornato dall’incapacità di ac-cettare una realtà, il cui processo di mutamento è vissuto con smarrimento, fastidio, ne-gazione. Superato e messo in discussione anche dai figli, appassionati indottrinati mili-tanti di quel pci di “gesuiti”, “arrivisti”, “burocrati”, “saccenti”, in cui non si riconosce, di cui non condivide la linea “riformista” togliattiana, finirà per autoemarginarsi. Ama-reggiato, sconfitto. solo.
Come nei lavori successivi di questa scrittrice romana che si muove da più di mezzo secolo nel mondo della letteratura e della militanza culturale e politica, ne Il confinato la memoria “privata” si fa biografia, storia di tutti. Dalla vicenda di questo piccolo eroe emerge infatti con vivezza, grazie a una scrittura precisa, nitida, scorrevole, di grande immediatezza e fascino, uno spaccato autentico della storia del nostro paese, a partire dagli anni del consenso “totalitario”, delle conquiste mussoliniane, dell’euforia imperia-lista fino ai primi anni cinquanta delle passioni politiche, delle battaglie, delle speranze e dei grandi mutamenti sociali.
Il tutto visto dall’osservatorio di una ragazzina introversa, piuttosto goffa e traso-gnata che dai sei anni iniziali vediamo crescere, aprirsi faticosamente alla vita, farsi poi prepotentemente donna, inquieta, insofferente, ribelle. Nelle prime parti del libro, attra-verso i muri, le finestre, il terrazzo, il cortile di un appartamento di periferia romana en-triamo in un microcosmo piccolo-borghese, con i suoi ritmi, i suoi riti, le sue debolezze, in una cornice di decoro tenacemente difeso, tutto esteriore, formale: il cappellino con la veletta la domenica, le scarpette bianche a Pasqua, la partita di pallone, i romanzi, i film americani, la festa rionale, il Natale coi nonni, insieme perfettamente scandito dalla co-lonna sonora delle orchestrine EIAR e dal fischiettare mattutino dei cascherini (“Faccet-ta nera”) per le strade imbandierate. Tutto appare tranquillo, banale, ripetitivo, se non fosse per l’inquietudine che serpeggia e s’insinua nelle pagine – e nei personaggi, trat-teggiati dall’autrice con mano felice e sicura, – preannunciando la parabola del nostro maestro e della sua famiglia terremotati dagli eventi (culminante nel degrado, nell’abbrutimento morale e materiale del soggiorno forzato: tra le pagine più belle del libro), parallelamente alla catastrofe del paese. La guerra, l’8 settembre, l’invasione na-zista coi suoi orrori intraveduti e sorvolati nei dialoghi volubili delle amiche adolescenti Maria e Marcella, il bombardamento di San Lorenzo, la fame, la miseria, l’estenuante attesa della liberazione, l’arrivo degli americani col suo strascico di ombre e rumori… fino alla tanto agognata libertà.
Ne Il confinato, la Jatosti gioca tutte le sue carte puntando non soltanto sulle memo-rie, non soltanto sull’emotività e sullo slancio delle illusioni tradite, non soltanto sulla forza, sul colore, sul grande respiro dell’affresco di fatti luoghi accadimenti storici e privati persone pensieri sentimenti esaltazioni e miserie che ci presenta, ma anche rac-contandoci il compiersi di una formazione etica individuale nell’arco di circa un ven-tennio tra i più drammatici della storia del nostro paese e non solo. Dall’amore teneris-simo della Maria ragazzina per un padre adorato e mitizzato, fino all’inevitabile, e salu-tare, conflitto generazionale. Come dice di sé la Jatosti in un’intervista rilasciata a Nan-do Mainardi: “C’era da parte mia una spinta naturale alla ribellione. Non ho mai accet-tato nulla supinamente, ho sempre voluto sapere il perché delle cose. Di tutte le cose. Ed è venuta la sacrosanta rivolta nei confronti della famiglia, di mio padre. Io credo sia ne-cessario “uccidere i padri”. – Occorre dunque uccidere i padri, anche quelli amatissimi e indifesi come il povero maestro inadeguato e disilluso che morirà solo in un letto d’ospedale.
Un grande libro lucido e appassionato, un tassello indispensabile per conoscere, ca-pire, indagare la nostra storia, ritrovare le radici comuni, guardare al futuro forti del no-stro passato, e andare oltre. Nonostante tutto.
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