Ho da poco finito di leggere Un Grande Paese - l’Italia tra vent’anni e chi la cambierà – di Luca Sofri.
Parecchi sono gli spunti dove Sofri ha catturato la mia attenzione, un libro che parla del nostro paese, di politica e comunicazione, e di come dovrebbe e sarebbe il nostro paese tra vent’anni se ognuno di noi si comportasse in maniera giusta, Sofri cita Thomas Friedman «Noi siamo i buoni, vediamo di dimostrarlo».
Non voglio mettermi qui a commentare ed elogiare il libro, mi basta dirvi che se vi “attrae l’idea” andatelo a comprare, o fatevelo prestare. Ma ci tengo a condividere con voi un pezzo che mi ha incuriosito paricolarmente, un pezzo che prende tutti noi, che potrebbe esserci utile per il nostro presente e soprattutto futuro.
Quante volte ognuno di noi si è giusticificato dicendo «io sono me stesso» o ancora meglio dandolo come consiglio, «sii te stesso», una frase che vive nella quotidianità, e che in qualche modo come dice Sofri “giustifica” alcuni nostri comportamenti che spesso potremmo reprimere.
Luca Sofri scrive:
In generale, tra noialtri essere umani vige una certa sopravvalutazione della sincerità. A un certo punto abbiamo cominciato a spacciare per ipocrisia la buona educazione con cui sceglievamo cosa dire e cosa no, e a legittimare ogni accondiscendenza nei confronti di noi stessi definendola spontaneità: «Io sono fatta cosi…», «Ah, io dico quello che penso». Oppure, con ingenua simulazione di autocritica«Ah, io non posso farci niente, dico quello che penso» o «Io ho questo difetto, che dico sempre quello che penso».
Il problema è che è davvero un difetto, dire sempre quello che si pensa. Perché se uno pensa delle cose cattive o sgradevoli, forse è meglio che non le dica. Perché se uno pensa delle cose violente, o stupide, forse è meglio che le reprima. E questo ci porta – dalle parole ai fatti – a uno dei più catastrofici alibi costruiti dal genere umano per autosollevarsi e mettere in vacanza la propria responsabilità su di sé.
Sii te stesso.
Già, bravi. Sii te stesso. E se uno è stronzo? «Sii te stesso», con tutta l’aura di grande dignità che si porta dietro, è una tra le peggiori predicazioni della storia. E sta dentro questo grande ingranno autoassolutorio per cui limpegno, l’applicazione, il lavoro di comprensione delle cose giuste e di quelle sbagliate, l’aspirazione a essere migliori, finiscono per essere disprezzati come artificiose iprocrisie, di fronte alla pretesa nobilità del pigro e vile affidarsi alla propria natura.«Sii te stesso» non solo assolve alla funzione di legittimare ogni pigrizia e ogni mancanza di impegno, ma implice che il «se stesso» abbia di per sé delle qualità comunque, giuidandoci in una direzione assai frequentata in questi anni di compiacimento e concentrazione su ciò che si fa. In quanto io, sono interessante. C’è un affetto collaterale e parallelo di questo atteggiamento che riguarda le nuove tecnologie e le opportunità che offrono di mantenere i propri interessi strettamente intorno a orizzonti ristrettissimi: segnalando libri, musica, amici che ci potrebbero interessare a partire da ciò che già ci piace. Finiamo per leggere solo cose con cui siamo d’accordo. Limitando quindi le possibilità di incontri e scoperte davvero nuovi, di adozione di pensieri finora ignorati, in favore di piccole variazioni sul nostro mondo di sempre: noi stessi.
Ovviamente questo è soltanto un brevissimo paragrafo del libro, dove Sofri spiega come l’essere se stessi alle volte è una mossa sbagliata, specie se hai una carica o un ruolo con molte responsabilità, prendete il presidente del consiglio per esempio, e le sue esternazioni che non sto qui a ricordare spesso giustificate da chi lo difende con un facile e banale «quanto meno lui è sincero, non è ipocrita». Io mi chiedo, si può essere educati e allo stesso tempo non ipocriti? assolutamente si, usando intellingenza e buon senso.