Incontro Emma Dante alla Vicaria in occasione della presentazione del libro “Intervista con Emma Dante” che inaugura la collana “I Racconti di ‘NZocchè” della Navarra editore. Il luogo è a dir poco suggestivo, teatro non lo si può proprio definire mancando anche delle principali norme di sicurezza che ne possano garantire l’agibilità. Bambole di plastica, sedie spaiate, poltrone tra il comodo e lo sfondato, depliant di ogni genere a foderarne le pareti, luogo dove tutto è sospeso in una dimensione onirica e, se si è proprio a caccia di definizioni, quasi felliniana. La giusta definizione me la suggerisce proprio Emma Dante “La Vicaria è uno spazio insubordinato, libero e autonomo, non sottoposto ad alcun potere in una città in cui spesso vivere è sopravvivere. Specchio di un’Italia ferita e ammalata che forse Pasolini aveva provato a raccontare tanti anni fa e in cui ora ci troviamo dentro sino al collo. Un Paese in cui la cultura si sta lentamente uccidendo, non solo quella del Cinema e del Teatro, ma anche quella della Scuola e dell’Università oggi in stato di mobilitazione.”
Sotto quale chiave va letto questo libro-intervista?
Il tema di questo libro è quello del “ritorno”, nel mio caso il ritorno alle origini, dopo dieci anni di assenza, seguito da un appello: “cerchiamoci”. La solitudine è una cifra del percorso di un artista ma non ci può essere forma d’arte senza confronto e incontro. Il ritorno a Palermo per me è corrisposto con il diventare invisibile, nella mia città io non esisto così come non esiste un teatro che mi ospiti. Vivo in modo conflittuale il mio rapporto con Palermo, la amo e la odio, rimango perché qui è la mia identità e qui nasce la lingua nella quale mi esprimo.
In una parte del libro si analizza il suo modo di fare Teatro. Un Teatro che spesso narra di storie al limite della violenza, così come violento è l’approccio con i tuoi autori…
Nei miei attori io cerco una reazione, qualsiasi essa sia, ma preferisco una reazione negativa. Affido loro una domanda precisa di cui si fanno incarnazione e portavoce. Raramente mi accontento di quello che fanno, di come interpretano la domanda, e da qui nasce l’approccio violento, scombussolando sia me che loro. Non mi piace nemmeno chiamarli attori, intanto sono persone, con esperienza di vita e qualità tecniche a cui chiedo il massimo.
Sempre dalle pagine del libro viene fuori un… diciamo… un certo “caratterino”.
Dicerie. Io sono amabilissima. Passo per un’isterica perché sono una donna, se fossi un uomo sarei autorevole. Sono solo molto pignola nel mio lavoro.
Eppure il suo teatro è molto amato in Italia e all’estero. A Milano il pubblico stravede per lei, le è stata affidata di recente la reinterpretazione della Carmen alla Scala, sta per partire in tournée per la Russia… come vive questa discriminazione da parte della sua città?
I miei spettacoli, anche se non riportano fatti reali ma un modo visionario di interpretare la realtà, risultano scomodi al Sud in genere. Il luogo più a Sud dove posso esibirmi è Napoli. Non mi lamento.
Cosa ne pensa del riferimento alla Costituzione ad apertura della Stagione Teatrale della Scala?
Mi ha stupita piacevolmente. Bellissimo gesto, giusto e importante.
Dopo la Russia cosa la attende?
Sto progettando un film dal mio libro “Via Castellana Bandiera”; la sceneggiatura, scritta con Giorgio Vasta, è pronta. Certo che con la crisi che c’è tutto fanno tranne che pensare di produrre il mio film. Non sono una che nelle cose si accanisce, posso anche rinunciare al film senza che questo significhi non amarlo con tutto il cuore.