di Francesco Casula
Scrive Michelangelo Pira in «La Rivolta dell’oggetto». “Il Vicerè non aveva alcun obbligo di essere bilingue; alla traduzione dei suoi ordini potevano provvedere intellettuali bilingui suoi dipendenti. Il presidente della Regione (per dire le istituzioni e organizzazioni politiche sarde autonomiste) ha 1'obbligo di essere compiutamente bilingue: il suo compito non è quello di trasmettere ordini di una sovranità esterna bensì quello di farsi estensione di una sovranità interna partecipando alla costruzione di questa. Egli deve capire quel che si vuol fare della Sardegna da parte dei poteri esterni all'Isola, ma anche e soprattutto deve capire quel che la Sardegna vuol fare di se stessa e dei suoi rapporti con i suoi interlocutori esterni. E la volontà interna si forma e si individua sia parlando in sardo, sia parlando in italiano”. Non so se Cappellacci abbia mai letto questo passo del grande antropologo sardo: comunque la diffida e la messa in mora al Governo Monti sulla vertenza entrate inviata al Presidente del Consiglio in due lingue, italiana e sarda, si muove dentro l’orizzonte politico e culturale auspicato da Pira. È una scelta importante e significativa che va nella direzione giusta: a condizione però che seguano atti politici conseguenti. Ad iniziare dalla costruzione della “sovranità interna”. Anche su questo versante occorre dire che qualcosa, dopo decenni di inerzia, finalmente si muove. Come l’approvazione nel Consiglio regionale, da parte di un variegato arco di forze politiche,dell’ordine del giorno sardista in merito all’avvio di “una sessione speciale di lavori aperta ai rappresentanti della società sarda, per la verifica dei rapporti di lealtà istituzionale, sociale e civile con lo Stato, che dovrebbero essere a fondamento della presenza e della permanenza della Regione Sardegna nella Repubblica italiana”. Se il progetto sovranista, proposto soprattutto da Paolo Maninchedda ma fatto proprio anche da forze politiche come Sinistra, Ecologia e Libertà, andasse avanti, potremmo finalmente inaugurare in Sardegna un nuovo corso: mettendoci alle spalle decenni di subalternità politica e culturale per imboccare con decisione la strada della rottura della dipendenza e della sovranità. Grazie anche alleanze e convergenze politiche che partano dai progetti e dai programmi e non dagli schieramenti. * Pubblicato anche su Sardegna Quotidiano del 29-5-2012
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