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Un “kiwi” e uno sherpa sul tetto del mondo

Creato il 05 aprile 2013 da Antoniopechiar @antoniopechiar

Hillary-Tenzing-evidenza

Sessant’anni fa, il 29 maggio 1953, la bandiera inglese sventolò sulla vetta dell’Everest, portata lassù da due alpinisti della “periferia dell’impero” britannico, il neozelandese Edmund Percival Hillary e lo Sherpa Tenzing Norgay, residente in India

Sir Edmund Hillary e Tenzing Norgay alle pendici del Monte Everest

Sir Edmund Hillary e Tenzing Norgay alle pendici del Monte Everest

2 giugno 1953. Milioni di radioascoltatori anglofoni, e tra questi gli ex sudditi dell’impero britannico, stanno per sintonizzarsi sul canale della Bbc. È il giorno dell’incoronazione di Elisabetta II e mezzo mondo è in attesa della diretta radio della cerimonia reale. Quella mattina però, alla cronaca dell’evento si aggiunge un’altra notizia, che arriva senza preavviso come il fulmine di un temporale. The Fight for Everest, la battaglia dell’Everest, è stata vinta da poco. Il “Big E” è stato scalato da una spedizione britannica. Per la prima volta in assoluto. Le tipografie hanno stampato le prime pagine dei quotidiani solo da qualche ora. Un tempismo perfetto, si direbbe. In realtà un’accorta regia ha ritardato di tre giorni la diffusione del trionfo britannico sul “tetto del mondo”, per farlo coincidere con la celebrazione di Westminster.

Gli inglesi tentavano la scalata da trentadue anni e l’ultimo gruppo di scalatori, diretti da John Hunt, era partito da Kathmandu, per piazzare il campo base, il 10 marzo. Presto però si scopre che a calcare gli 8848 metri della vetta dell’Everest, il più grande evento della storia dell’himalaysmo dopo la salita francese dell’Annapurna nel 1950, non sono stati due britannici della madre patria: il merito della cima spetta a uno scalatore proveniente dall’estrema periferia degli ed domini della Corona, un “kiwi” quasi 34enne, Edmund Percival Hillary, neozelandese di Auckland, apicoltore e alpinista, e a Tenzing Norgay, uno sherpa 39enne nato nella Valle di Kharta, in Tibet (il suo vero nome di battesimo è Namgyal Wangdi, ma lo si scoprirà solo in seguito), e residente a Derjeeling, in India. Un piccolo neo, per la casa regnante? Niente affatto. Secondo il colonnello John Hunt, il capo della spedizione, che fino al momento della partenza aveva lavorato presso il Supreme Headquarters Allied Expeditionary Force, il fatto che i due summiters non fossero inglesi purosangue contava poco. «A quel tempo il Commonwealth era una realtà molto unita, avevamo fatto la guerra tutti insieme, non c’era differenza» racconterà anni dopo.

Monte Everest - 8848 m

Monte Everest – 8848 m

A sessant’anni da quel fatidico 29 maggio 1953, gli eroi della prima scalata dell’Everest se ne sono ormai andati quasi tutti. Il primo a mollare è stato Wilfred Noyce, classe 1917, in un incidente alpinistico in Pamir nel 1962. L’ultimo, Mike Westmacott, è morto pochi mesi fa, il 20 giugno del 2012. Solo il secondo dei due neozelandesi del gruppo, George Lowe, 28 anni al tempo della spedizione, tiene ancora duro. Tenzing è scomparso nel maggio 1986; Charles Evans, nel 1995; John Hunt, nel 1998; Michael Ward, il medico, nel 2005; Charles Wylie, nel 2007; Edmund Hillary, nel 2008; ALfred Gregory, nel 2010, quasi 97enne; e George Band, nel 2011.

Erano una bella squadra. Gente forte, super selezionata, alla mano. Che uno sherpa riuscisse ad arrivare lassù, in cima al globo, gli alpinisti un pochino se l’aspettavano. Da tempo si sapeva che gli abitanti delle alte valli del Khumbu sono fisiologicamente predisposti per le scalate ad altissima quota. La vera sorpresa, invece, erano stati i neozelandesi, a quel tempo conosciuti solo in ambito britannico. Eppure il primo kiwi a venire a contatto con l’Everest era stato Dan Bryant, nel lontano 1935, dal versante tibetano. A volerlo nella squadra era stato il grande mountain explorer Eric Shipton, che l’Himalaya la conosceva bene. Sedici anni dopo, nel corso della prima ricognizione britannica sul versante nepalese dell’Everest, si erano distinti Harold Earle Riddiford ed Edmund Hillary, entrambi al seguito di Shipton. E poco dopo, durante la spedizione inglese al Cho Oyu del 1952, George Lowe, classe 1925, e il solito Hillary, sei anni di più, avevano dato prova di grandi capacità. Entrambi riuscivano a muoversi con disinvoltura a quote elevate anche con grandi carichi sulle spalle. Hillary, in particolare, in quegli anni non era affatto lo scalatore neozelandese più dotato dal punto di vista tecnico, ma alle grandi altezze il suo fisico non perdeva un colpo. Nella primavera del 1953 la sua forma era invidiabile. Fin dall’inizio. Faceva coppia fissa con Tenzing e se la cavava in maniera splendida.

Hillary e Tenzing con i autorespiratori a circuito aperto

Hillary e Tenzing con i autorespiratori a circuito aperto

Il 2 maggio, per dire, la cordata Hillary-Tenzing salì e scese in giornata i 1100 metri che separavano il campo base dal campo IV, a 6450 metri, percorrendo la pericolosa seraccata dell’Ice Fall in poco più di 2 ore. Chiaro che Hunt, pur deciso a scegliere la cordata di punta solo all’ultimo momento, ebbe un occhio di riguardo per quella curiosa “coppia” che bruciava i tempi abituali, anche se Lowe, Bourdillon, Evans, Ward e altri se la cavavano bene. La scelta di Tenzing, poi, pare fosse avvenuta anche per soddisfare un’altra esigenza. A quel tempo era importante che sulla vetta dell’Everest arrivasse almeno uno sherpa. Hunt aveva vissuto a lungo in India e sapeva perfettamente quanto contasse la presenza di un asiatico nella cordata di punta. Questione di savoir faire e di rapporti diplomatici con la nuova India decolonizzata, si dirà in seguito…

Ad analizzarla in dettaglio, oggi la sequenza delle fasi finali della scalata dell’Everest sembra una manovra da manuale e mostra la meticolosa regia del capo spedizione. Il lavoro di squadra fu perfetto. Il 26 maggio Charles Evans e Tom Bourdillon, con respiratori a circuito chiuso, salirono sulla Cima Sud, a quota 8760. A quel punto il primo tratto della via verso la vetta era formalmente aperto. Due giorni più tardi fu la volta del tentativo finale.

Hillary e Tenzing in salito verso un campo base in quota

Hillary e Tenzing in salito verso un campo base in quota


Alle 8.45 del 29 maggio George Lowe e Alfred Gregory partirono per il campo IX, stracarichi di viveri e attrezzature. Alle 10, sulle spalle zaini decisamente più leggeri, Hillary e Tenzing cominciarono a seguire la traccia lasciata dai compagni. Più su, gli scalatori continuarono assieme, anche per usufruire meglio dell’aiuto reciproco. Giunti a 8500 metri, Lowe e Gregory tornarono all’ultimo campo, come da programma, mentre Hillary e Tenzing montarono la tenda per il bivacco. Poi cenarono e, soprattutto, cercarono di ingurgitare la maggior quantità possibile di liquidi, lavorando di buona lena con il fornello e la neve da sciogliere. Il 29 maggio, nelle primissime ore del mattino, la cordata di punta cominciò a preparare la partenza. Alle 6.30 i due uomini, equipaggiati di duvet, giacche a vento, guantoni imbottiti e respiratori a circuito aperto, si lasciarono alle spalle il minuscolo ricovero di tela. La prima parte della salita, tutta su neve crostosa, si rivelò piuttosto faticosa. Più in alto, sulla cresta, gli alpinisti si videro costretti ad aggirare alcune grandi cornici che sporgevano dal versante orientale dell’Everest. A un certo punto, la cordata giunse alla base di un pilastrino roccioso. Hillary prese sulla sinistra, incastrandosi tra la roccia e una cornice di neve. Tenzing era appena dietro di lui.

Ancora avanti, verso l’alto. Appena il terreno divenne più facile, i due alpinisti procedettero affiancati. Una gobba via l’altra. Fatica. Da due ore Hillary intagliava gradini con la piccozza. L’entusiasmo del primo mattino stava lasciando il posto all’apatia. A un tratto, la cresta davanti a loro prese bruscamente a scendere. Più in basso si scorgevano bene il Colle Nord e il ghiacciaio di Rongbuk. La cima dell’Everest distava ormai solo pochi passi. La grande fatica stava per terminare. Erano le 11.30. «Guardai Tenzing» racconterà in seguito Edmund Hillary, «e, malgrado il passamontagna, gli occhiali, la maschera incrostata di ghiaccio e gli nascondeva il viso, non ci si poteva ingannare: una gioia folle s’era impadronita di lui. Ci stringemmo la mano, poi Tenzing mi buttò le braccia attorno alle spalle, e ci demmo grandi colpi sulla schiena fino a perdere il fiato. Chiusi la chiavetta dell’ossigeno e mi tolsi di dosso l’apparecchio». Tutto lì. Ma l’abituale understatement britannico non doveva ingannare. In quel momento era appena stata scritta una delle più grandi pagine dell’himalaysmo “di conquista”.

Sir Edmund Hillary fotografato da Tenzing Norgay in vetta al Monte Everest (8848 m)

Sir Edmund Hillary fotografato da Tenzing Norgay in vetta al Monte Everest (8848 m)


di Roberto Mantovani

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