Per chi se lo fosse perso, abbiamo deciso di offrirvi l’intero incontro (o quasi) con il frizzante Oliviero Ponte Di Pino, grazie all’eroico lavoro di sbobinatura della serpente Elena, che ha anche moderato l’incontro assieme ad Anna. Lo abbiamo fatto perché è un incontro molto speciale, e perché di stretta attualità: conoscerete il dietro le quinte di BookCity Milano, palinsesto letterario che si terrà dal 22 al 25 ottobre prossimi.
Si è aperto martedì scorso il ciclo di incontri “Cosa si fa con un libro?”, frutto della collaborazione tra Via dei Serpenti e la libreria Il mio libro di Cristina di Canio. Ospite della serata, dedicata alla promozione del libro, è stato Oliviero Ponte di Pino, ex direttore editoriale Garzanti e oggi responsabile del palinsesto Bookcity, oltre che suo grande sostenitore sin dagli esordi: “Il più grande festival letterario della Lombardia! Ma che dico… d’Italia! Anzi, del mondo!”, afferma con l’usuale verve Oliviero, che sa come intrattenere il suo pubblico. A moderare, le serpentine milanesi Anna Castellari ed Elena Refraschini. Il pubblico, attentissimo e molto partecipativo, è anche intervenuto con domande e punti di vista.
Questa quarta edizione di Bookcity prevede quasi 900 eventi. Come funziona l’organizzazione e il coordinamento di questo impressionante numero di incontri?
A Milano, sede del settore editoriale italiano, mancava un grande festival dedicato alla lettura e ai libri. C’è stato uno sforzo da parte di diversi enti, che oggi si occupano principalmente di formazione, ma anche conservazione e promozione della cultura editoriale: Fondazione Rizzoli Corriere della Sera, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e Fondazione Umberto e Elisabetta Mauri. Con il supporto e la promozione, naturalmente, del Comune di Milano, che quest’anno ha messo a disposizione ancora più spazi rispetto alle precedenti edizioni.
La parola chiave che sta dietro all’organizzazione di Bookcity è “inclusività”: non è un classico festival con una direzione artistica che decide cosa fare; sono gli editori stessi, le associazioni, le librerie, che ci propongono le attività che vogliono far conoscere alla città. Dalla prima edizione non sapevamo cosa aspettarci, ma gli editori in appena una decina di giorni ci hanno mandato 400-500 proposte di eventi. Lavorando venti ore al giorno, io ed Elena Puccinelli (archivista di formazione, una “pazza” come me) abbiamo creato, maghi dell’incastro, il primo programma di Bookcity. C’era chi mi diceva che era una cosa da matti, che non avrebbe mai potuto funzionare con quella formula: ma già la prima edizione ha attirato decine di migliaia di persone, segno che di una manifestazione di questo tipo si sentiva il bisogno, a Milano.
Ci sono poche regole, ma chiare: lo spunto per un evento deve sempre provenire da un libro, ma è vietato usare la parola “presentazione”, e non si può usare il titolo del libro in quello dell’evento: questo stimola la creatività e la capacità di comunicare degli organizzatori.
Quest’anno ci sono parecchie novità, tra cui alcuni nuovi e suggestivi luoghi del libro: la sede del Touring Club in Corso Italia, dove si terranno gli eventi dedicati al viaggio, e il Laboratorio Formentini, dove si discuterà delle professionalità legate al libro.
In Italia abbiamo grandi problemi culturali e politici perché si legge poco. Un’indagine di De Mauro, il massimo linguista italiano, dice che solo il 30% degli italiani comprende, leggendola, la frase “il gatto miagola perché ha sete”. Questo significa che ogni libreria ha un target massimo che è pari al 30% degli italiani. Per riuscire ad avere lettori domani, devi avere bambini che cominciano a leggere. Bookcity ha sempre avuto tanti eventi dedicati ai bambini, e come sapete a Milano tutte le attività a loro dedicate hanno un grande successo. I sistemi bibliotecari milanesi e limitrofi si sono dunque impegnati per dare maggiore rilievo alle loro attività quest’anno. Quelle per i più piccoli si concentrano sullo “storytelling” (fiabe lette ad alta voce, eccetera), per i più grandi (12-15 anni in su) invece il fulcro è quello della musica. D’altronde, siamo abituati a pensare che la lettura sia un’attività silenziosa, ma è così solo dalla Milano di Sant’Ambrogio e Sant’Agostino: prima la lettura era solo ad alta voce, i ricchi prendevano uno schiavo – magari proveniente dalla Grecia – e si facevano leggere i libri. Ogni anno cerchiamo dunque di trovare delle forme di promozione innovative, partecipative: certo possono perdersi in questo contenitore gigantesco, ma se funzionano, si ripetono. È importante trovare nuovi modi per declinare la lettura.
Ma i libri, a Bookcity, si vendono?
Questa è una domanda complicata. È difficile valutare se a questi eventi, come a Mantova o a Torino, i libri si vendano. La libreria gestita dalla LIM (Librerie Indipendenti Milano) l’anno scorso aveva guadagnato, ma a un evento è normale che tanti di quelli che vanno, il libro l’hanno già comprato e non lo comprano una seconda volta. Direi che la funzione di Bookcity è diversa: dice che la lettura è un fatto bello, importante e divertente. Intercetta le persone che non sono quelle che già leggono, ma che magari amano il tennis, o il calcio, e scoprono qualcuno a un evento che può dir loro qualcosa di interessante.
Il primo anno i libri relativi all’evento erano venduti direttamente dagli editori, per non danneggiare le librerie; era una scelta però complicata dal punto di vista pratico. Dal secondo anno la LIM ha cominciato a gestire la parte della vendita, e dallo scorso anno c’è una libreria dentro al Castello Sforzesco nata dalla collaborazione di diverse librerie milanesi.
Qual è il ruolo degli attori indipendenti (piccoli editori, librai indie) in questo Bookcity?
Noi vogliamo dare la parola a tutti quelli che vogliono parlare. Scegliamo solo chi mettere dove, la nostra abilità sta nel prevedere il richiamo di ciascun evento per poterlo inserire nello spazio della giusta grandezza, cercando allo stesso tempo di rispettare i poli tematici. Detto questo, la forza di Bookcity secondo me non sta nei 100 eventi di grandissimo richiamo, ma negli altri 750. È facile attirare centinaia di persone con Yehoshua (domenica alle 11 al teatro Franco Parenti, ndr). Più difficile è trasmettere la poesia in romagnolo di Lello Baldini, uno dei più grandi poeti italiani della seconda metà del Novecemnto, assolutamente straordinario. Comunque, l’obiettivo è dare voce a tutti, non solo agli indipendenti.
Qualche evento di cui vuoi parlare in particolare?
Un evento un po’ folle, che quindi a me piace tantissimo, partirà da mezzanotte di venerdì 23 ottobre dal Teatro della Cooperativa in via Hermada e terminerà 24 ore e 42 km dopo, a mezzanotte: una maratona per le periferie di Milano in compagnia di Biondillo e altri. Questa è una delle tante iniziative matte e bellissime di Bookcity.
Appena arrivata a Milano qualche anno fa, fui contentissima di scoprire due amici poeti pubblicati nei libricini dell’iniziativa Subway Letteratura, che si trovavano nelle stazioni della metropolitana. Com’è nata questa iniziativa e perché non si fa più?
Quell’iniziativa è nata dopo “Subway, le arti in metropolitana”, a metà anni Novanta. L’idea era quella di creare dei juke box letterari che contenessero giovani autori magari già pubblicati ma ancora sconosciuti al grande pubblico, come Aldo Nove o Giuseppe Culicchia. Le regole erano semplici: dovevano scrivere un racconto specificando titolo, genere e numero di fermate di metropolitana necessarie per leggerlo. Questo serviva da una parte a mettere in testa agli scrittori che stavano scrivendo per qualcuno, dall’altra per far leggere le persone nel momento di “vuoto” del viaggio in metropolitana. Dopo un po’ di anni, con l’amico Davide Franzini ripartiamo con Subway, pubblicando solo autori under 35 e inediti. Eravamo di fatto una piccola casa editrice, stampavamo 12 libriccini all’anno in quattro milioni di copie. Era un modo per selezionare giovani talenti, aiutarli a crescere, a conoscere le pratiche dell’editoria. Ancora non c’era il mito del giovane autore inedito, per capirci era l’epoca pre-Giordano. Erano una sonda formidabile dei grandi temi giovanili, le relazioni, il lavoro (all’epoca stava finendo il posto fisso, iniziava l’epoca della precarietà). Questa esperienza ha esaurito il suo corso, ma hanno contribuito il cambiamento delle abitudini dei pendolari, che spendono il loro tempo tra free press e cellulari.
Sul suo sito c’è una sezione chiamata Alcune cose che si possono fare con un libro nel XXI secolo. Può dirci qualcosa in merito? Vi si menzionano tante nuove professionalità del mondo del libro tra cui il Personal Event Writer, il cronista che segue il tuo matrimonio, ma anche Wonderbook, il software di realtà aumentata per PS3…
La narrazione oggi prende vie sempre nuove, e in un momento di transizione come questo i sintomi del cambiamento vengono dalle piccole notizie. Per questo tengo dei quadernetti dove ritaglio e incollo tutte le piccole notizie sul mondo del libro. Per esempio, ieri sul Corriere si parlava di questo libro inesistente che era scalato le classifiche grazie a recensioni fasulle pagate 100 euro. Tutti sappiamo la grande storia di successo di Amazon, ma ci sono tante piccole notizie di insuccesso. Queste notiziole sono molto interessanti anche per capire perché certe cose non hanno funzionato, come i tanti predecessori del Kindle.
Sono tutti spunti utili a comprendere meglio che cosa sta accadendo, non si tratta soltanto di aneddotica ma di strumenti per sondare dove l’editoria – e il mondo – stanno andando.
Foto di copertina: Yuma Martellanz, BookCity 2014