Un libro si scrive. La parola allo scrittore Sandro Bonvissuto

Creato il 20 gennaio 2016 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

COSA SI FA CON UN LIBRO? Seconda edizione Roma

di Emanuela D’Alessio e Rossella Gaudenzi

In un’atmosfera rilassata e calda, nonostante il vento polare che improvvisamente ha travolto Roma, sabato 16 gennaio ha preso il via la seconda edizione di Cosa si fa con un libro? con lo scrittore Sandro Bonvissuto.
C’erano una trentina di persone, tra gli altri anche Marco e Cristina, i librai di Pagina 348, nella libreria-salotto L’Altracittà con la padrona di casa Silvia Dionisi e le serpenti romane Emanuela D’Alessio, Rossella Gaudenzi e Sabina Terziani.
Bonvissuto non è uomo di poche parole ed è stato un po’ impegnativo, ma divertente, moderarne l’eloquio, con risultati comunque soddisfacenti per tutti.

Il ruolo dei librai indipendenti. Trovandoci in una libreria non si poteva non cominciare da qui, dal libraio indipendente e dal suo ruolo. Per Bonvissuto il libraio vero, quello che legge i libri, che è in grado di dire a un cliente: «Questo libro è per te», che fa il proprio mestiere con passione e competenza, che riesce a veicolare buoni libri e sostenere realmente la lettura, è una specie in via di estinzione. «Sono pessimista, quando scompariranno i pochi veri librai indipendenti ancora in circolazione, vedo la fine». E per sottolineare di che pasta è fatto un libraio vero, Bonvissuto ha ricordato che al Punto Einaudi di Barletta, «luogo che nell’immaginario collettivo non viene di certo associato al mondo del libro o a una folla di lettori», sono state vendute circa mille copie del suo libro Dentro, mentre in una qualsiasi libreria di catena in una grande città se ne vendono due o tre decine al massimo.

Il perché della scrittura. Alla fatidica domanda sul perché della scrittura Bonvissuto in realtà non ha risposto. «Non c’è un perché. Posso parlare più di un insieme di elementi casuali, non sempre facili da ricostruire, che hanno portato a un risultato ben riuscito».  La sua la definisce una scrittura “preterintenzionale”, perché scaturita inconsapevolmente, senza l’obiettivo della pubblicazione. «Lo scrittore è colui che scrive, non quello che pubblica – ha aggiunto – e scrivo quello che mi piacerebbe leggere».
Bonvissuto, che è laureato in filosofia e fa il cameriere, ha raccontato i suoi esordi inconsapevoli di scrittura quando era al liceo e non godeva di particolare successo fra i professori. In un paio di occasioni i suoi temi vennero riconosciuti come “molto belli”, a dispetto della sua fama di pessimo studente. Ma allora non diede retta a quei segnali. Soltanto dopo si mise a scrivere seriamente e quando tornò a casa con il suo primo librino stampato (peraltro mai distribuito), sentì di avere già realizzato un sogno. Da quel librino è poi scaturito un sogno ancora più grande e nemmeno immaginato: la pubblicazione con Einaudi.

Racconto o romanzo? Alla domanda se fosse uno scrittore di racconti o di romanzi ha risposto: «Non è stata mia la scelta di esordire con il racconto. Quando sono stato contattato dalla Einaudi avevo un intero romanzo in testa, ma l’incontro con la editor ha chiarito che la richiesta era per un libro di racconti. Credo che Dentro abbia il sapore del romanzo di formazione: contiene, a ritroso, l’adulto, l’adolescente, il bambino. Io amo i racconti – ha proseguito – come non amare quelli sublimi di Raymond Carver, ad esempio? Per poter scrivere un racconto si deve conservare l’impatto della poesia, bisogna essere capaci di misurare le parole, non una in più né una in meno. Il racconto richiede una sensibilità sopraffina. Comunque l’idea di scrivere un romanzo è rimasta intatta, e magari quando lo scriverò scoprirò che mi venivano meglio i racconti».

Carcere e letteratura. Dopo una breve lettura di Il giardino delle arance amare, il primo dei tre racconti di Dentro, con cui Bonvissuto ha esordito nel 2012 per Einaudi, si è parlato di carcere e letteratura. Il giardino delle arance amare è la storia, narrata in prima persona, di un uomo senza identità e colpa, che trascorre un tempo imprecisato in carcere. Entriamo con lui, viviamo i suoi gesti, i suoi giorni senza tempo e i suoi pensieri e alla fine usciamo con lui, certi di aver imparato qualcosa in più. «Per arrivare a questo risultato – ha spiegato Bonvissuto – mi sono documentato, ho visitato molte carceri italiane, anche penitenziari di massima sicurezza, ho incontrato detenuti di ogni tipo, anche camorristi, ho letto tutta la letteratura sul carcere e la detenzione, lettere e corrispondenze. Il racconto ha una forte componente di verismo».

In carcere ci sono libri? «Dipende dalle situazioni. Esistono carceri modello dove sono previsti percorsi di lettura e altri penitenziari dove il concetto di detenzione è fermo a qualche secolo fa. Le associazioni, non di rado quelle di natura religiosa, riescono talvolta a smuovere le acque, a concretizzare qualcosa. Il panorama è dunque estremamente complesso. Insomma anche in questo caso il tema libro si conferma problematico».

Esordire con un grande editore. «Non è cosa da poco – ha ammesso – essere in collana con Philip Roth. Per sopportare il peso di una casa editrice di questa portata, con il migliore catalogo disponibile, occorre una solidità psicologica non indifferente. L’ambiente è complicato e volendo fare un paragone con il mondo dello sport, sarebbe il caso di dire che qui se sbagli una partita non giochi più. E pensare che Einaudi era l’unica casa editrice cui non avevo inviato il mio manoscritto».

La conversazione sarebbe proseguita ancora a lungo se il tempo a disposizione non fosse scaduto. Riprenderemo il discorso in un’altra occasione, magari a cena nella trattoria dove Sandro Bonvissuto quando non fa lo scrittore indossa le vesti del cameriere.

Cosa si fa con un libro, seconda edizione romana in libreria, prosegue il 6 febbraio alla libreria Pagina 348 con Sandro Ferri, editore di e/o.

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