Intervista a Giuseppina De Nicola, coreanista e antropologa presso la Seoul National University - Centro di Cultura Italia Asia
Quello che accingiamo a fare, attraverso le parole di questa intervista, è un viaggio in un Paese che l’autorità italiane sconsigliano vivamente di visitare senza aver preso i giusti accorgimenti: la Corea del Nord.Da oltre mezzo secolo sotto il controllo totale di un regime di stampo marxista – leninista, la Corea del Nord è semisconosciuta all’Occidente. Le fonti ufficiali raccontano di una dittatura durissima, di una nazione in possesso dell’atomica e che vede nella Corea del Sud e negli Stati Uniti “i nemici giurati”.Per capire come è la vita nel Paese dominato dalla famiglia Kim, T-Mag ha contattato Giuseppina De Nicola, coreanista e antropologa presso la Seoul National University – Centro di Cultura Italia Asia.
“La prima cosa da mettere in rilievo – spiega De Nicola – è l’enorme differenza delle condizioni di vita che esiste tra la città e la campagna. Bisogna anche tener conto del fatto che il regime nordcoreano è uno dei più duri al mondo e che non lascia spazio al dissenso popolare. Questo rende difficile, per qualsiasi osservatore operante sia all’interno del Paese che all’esterno, distinguere quale sia la vera condizione di vita di un nordcoreano. Sicuramente gli abitanti della capitale, P’yŏngyang, vivono una vita piuttosto ‘normale’. Dalle testimonianze di coloro che hanno visitato il Paese, la vita quotidiana sembra trascorrere in modo tranquillo. Gli abitanti sono molto fieri della loro cultura, del loro Paese e del loro Leader. Voci differenti vengono dai rifugiati politici, fuggiti all’estero che denunciano violazioni di diritti umani e presenza di gulag”.
“Le case indipendenti come le villette, con impianti di riscaldamento ed elettrici indipendenti, sono riservate ai membri di alto rango nel partito e agli ufficiali dell’esercito. La maggioranza dei cittadini non possiede un’autovettura. A parte la capitale ed altre poche città, il paesaggio nazionale è diviso in aree semi-urbane, sottosviluppate e agricole”.
“In città ci sono negozi e anche grandi magazzini. Tuttavia – precisato la professoressa -, i beni di base spesso sono a carico dello Stato sotto forma di ‘razione’ o ‘regalo’, ad esempio libri scolastici e divise. Negli ultimi anni le attività commerciali sono sicuramente aumentate, in genere si trovano più prodotti. Esiste un progetto che auspica la creazione di una zona di libero commercio nella regione nord orientale del Paese in collaborazione con capitali cinesi e sudcoreani. Bisognerà vedere come esso si evolverà nel tempo”.
“Sebbene ufficialmente – aggiunge De Nicola – la società della Corea del Nord si proclama senza classi sociali, liberata dal fardello del feudalesimo, di fatti esiste una divisione in coloro che hanno potere politico e coloro che non ce l’hanno, con un’evidente disuguaglianza nella distribuzione di privilegi e guadagni. In cima alla piramide ci sono i membri della famiglia di Kim Il Sung, a seguire vi sono i suoi camerati e le loro famiglie. Lo strato seguente è occupato dalle famiglie dei veterani della guerra tra le due Coree e da quelle degli ufficiali che hanno partecipato ad azioni di sabotaggio anti – sudcoreane. I figli e i discendenti di queste classi vengono educati in scuole dedicate agli eroi della rivoluzione e avranno migliori opportunità di carriera. Gli altri cittadini vengono divisi in ranghi in base alla loro storia familiare e alle loro origini rivoluzionarie. Lo status viene continuamente sottoposto a revisione e se un membro della famiglia compie un crimine tutta la famiglia subirà un declassamento di rango”.
Come in ogni sistema totalitario che si rispetti, “la partecipazione in organizzazioni politiche occupa un importante posto nella vita quotidiana dei nordcoreani”.
“Ogni cittadino – racconta ancora la professoressa – appartiene per lo meno ad una organizzazione politica e questo serve anche da sistema di controllo sociale, solo per citare alcune di queste organizzazioni: the Korean Democratic Women’s Union, the Korean Congress of Trade Unions, the Korean Socialist Labor Youth League, the Korean Farmers’ Union, the Korean Press Association, the Korean Association of Writers and Artists, the Korean Young Pioneers…”.
Ma il regime, come spiega l’esperta, regola la vita dei cittadini anche negli ambiti più intimi, come il matrimonio. “Per quest’ultimo si tengono in considerazione le origini della classe di appartenenza. Se i due promessi sposi appartengono a classi diverse il matrimonio potrebbe non essere approvato. Dopo il matrimonio alla coppia viene concessa una casa o un appartamento, in ogni caso dovranno aspettare fino a quando la loro residenza verrà approvata dalle autorità competenti”.
Il governo, con a capo i membri della dinastia Kim, definisce se stesso come uno “Stato socialista e indipendente”. Ma c’è dell’altro, perché sebbene si ispiri al marxismo – leninismo, la Corea del Nord ha una propria dottrina politica: il Juche.
“Il Juche o Chuch’e (주체, 主體) è un’ ideologia politica creata dal leader del Partito dei Lavoratori e primo capo del governo della Repubblica Popolare Democratica dei Corea, Kim Il Sung (vero nome Kim Sŏng Ju). Il termine Juche – chiarisce De Nicola – consiste di due termini: Ju significa signore, padrone, proprietario, sovrano, principale; Che indica il corpo, il tutto, l’essenza, la sostanza, uno stile. Generalmente viene tradotto come ‘autonomo, indipendente, auto – sufficiente’. In realtà, al di là del significato letterale, il Juche è un’idea profondamente antropocentrica, esprime una visione dell’uomo come essere indipendente e consapevole del proprio ruolo all’interno della società che lo circonda. Egli è visto come un essere sociale solamente attraverso l’indipendenza (chajusŏng), o meglio, l’uomo ha insita in sé l’indipendenza che lo eleva ad essere sociale. Il Juche prende esplicitamente forma il 28 dicembre 1955, in occasione di un discorso tenuto da Kim Il Sung, durante il quale propone l’applicazione dell’ideologia rivoluzionaria nel pensiero e nella sfera lavorativa nordcoreana. Tuttavia, sarà l’articolo 4 della Costituzione, promulgata nel 1972, a sancire il Juche vera e propria dottrina governativa: in esso si dichiara che la Corea del Nord è guidata nelle sue attività dal Juchè – applicazione creativa del Marxismo a Leninismo alle condizioni peculiari del Paese. Kim Il Sung vide tre campi di applicazione nella politica: indipendenza da un punto di vista ideologico e politico (chaju); autosufficienza economica (charip); ed un sistema nazionale di difesa anche esso autosufficiente (chawi)”.“Il principio dell’indipendenza politica (chaju) – puntualizza la professoressa – è uno dei suoi temi centrali. Nel rispetto delle relazioni internazionali, i suoi principi prevedono che ci sia rispetto e un mutuo riconoscimento delle nazioni. Attraverso questa base ideologica, gli Stati sono uguali gli uni agli altri e non devono intervenire negli interessi interni degli altri”.
“Il secondo campo di applicazione è legato al campo economico, ovvero dell’indipendenza economica (charip). Indipendenza necessaria al fine di garantire l’integrità politica e raggiungere la prosperità nazionale. L’ultima area legata al concetto di indipendenza è quella della difesa della Patria (chawi). L’indipendenza in questo campo si attua attraverso il Sŏngun, che letteralmente significa ‘l’esercito al primo posto’, e indica la centralità e l’importanza dell’Esercito Popolare nella politica e nell’economia del Paese”.
“Infine – ricorda De Nicola – Kim ha posto l’accento sul ruolo del leader supremo, Suryŏng. Secondo lui ogni Stato dovrebbe aver il proprio Suryŏng: l’idea sottolinea l’unità dei ranghi rivoluzionari che circondano il leader supremo, fonte di lealtà e fiducia infinita del popolo, e attraverso il quale riusciranno con successo nelle loro imprese e negli sforzi quotidiani”.
“Non ci si può esimere dall’affermare – sostiene la professoressa – che il Juche sia intriso anche di una forte influenza neoconfuciana nell’idea di nazione-famiglia. Questo è particolarmente evidente nei quattro capisaldi di questa ideologia: la teoria del leader rivoluzionario, della vita sociale e politica, della grande famiglia sociale e della moralità rivoluzionaria.
Secondo le prime due, il leader politico dà la vita al popolo, come se fosse un genitore che da la vita ai propri figli. Per la precisione il leader politico raffigura il padre, il partito raffigura la madre ed insieme danno vita sociale e politica al popolo. Quindi il popolo è legato al leader e al partito da questa relazione di tipo familiare. Così la figura del leader politico diventa più importante di quella del padre biologico, che a sua volta deve sottostare alla volontà del leader e del partito. Per le altre due, quella della grande famiglia socialista e della moralità rivoluzionaria, il popolo si deve sentire felice di vivere in questa grande famiglia (leader, partito e popolo) e deve onorare il padre fondatore, Kim Il Sung. Ed è proprio questo legame, che diviene una virtù morale per poter sviluppare il controllo sulla popolazione della Corea del Nord. Questa è la moralità rivoluzionaria. Il suo elemento base è l’obbedienza al padre/leader. Kim Il Sung e i suoi successori hanno saputo usare i valori della filosofia Juche per creare un nazionalismo legato alla lotta di indipendenza contro le potenze straniere, in particolare, l’ex Unione Sovietica e gli Usa e per giustificare le politiche di self – reliance e self- denial di fronte alla carestia e alla stagnazione economica da sempre presenti in DPRK”.
Ma il Juchè, ha rilevato la professoressa, “pur dichiarandosi di ispirazione marxista-leninista, a ben guardare non aderisce a questi principi. L’idea antropocentrica su citata contraddice l’asserzione di Karl Marx sul determinismo economico e, inoltre, quest’ultimo non esaltò mai la posizione dell’uomo nella gerarchia di fattori storici di importanza. Diversamente da Lenin il regime di Kim Il Sung sosteneva una gerarchia di un unico capo – guida rivoluzionario, piuttosto che un nucleo di leaders eccezionali impegnati a guidare la lotta rivoluzionaria”.
La Corea del Nord, dicevamo, vede negli Stati Uniti il “nemico giurato”. Ma vista la distanza che separa le due nazioni, questo odio sembra avere finalità più che altro propagandistiche. Discorso diverso invece per quanto riguarda la vicina Corea del Sud. I due popoli, separati da un confine, non hanno però rapporti diretti. I sudcoreani, come il resto del Mondo, hanno le idee poco chiare di come sia la vita in Corea del Nord. “In proposito – riferisce la professoressa -, ho scritto un saggio L’Impero del Mai, edizioni ObarraO, insieme al giornalista Marco del Corona, in cui si parla proprio dell’immaginario nordcoreano nella Corea del Sud. In generale, tutti si aspettano che prima o poi ci sarà una riunificazione, ma senza azzardare il come e il quando. La divisione è senz’altro una tragedia ma, dal mio punto di vista, negli ultimi anni la gente è più preoccupata dalla ricerca del benessere, e se il Sud Corea ha da tempo raggiunto questo obiettivo non escludo che anche al Nord il popolo esigerà sviluppo e benessere. Questo fenomeno è già in atto”.(Anche su T-Mag)
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