Un mare di guai

Creato il 17 agosto 2011 da Oblioilblog @oblioilblog

Il Mediterraneo è la più grande risorsa paesaggistica dell’Italia. Il turismo balneare costituisce una parte importante del nostro PIL ed è decisivo per moltissime località sulle coste. Un bene tanto importante dovrebbe essere preservato in tutti i modi, invece come al solito si cade nel tafazzismo.

Il lungomare e l’acqua sono in condizioni difficili: imbrattati da scarichi non depurati e infestati da costruzioni abusive. Lungo i 7 mila km di litorale, si trova un punto critico ogni 51 km. Il 60% dei cittadini rilascia liquami non filtrati a norma di legge. Sono 112 le foci di fiumi a rischio, segno che il problema dell’inquinamento è da imputare all’entroterra.

Legambiente, per fotografare al meglio il problema, ha iniziato il 22 giugno un viaggio a bordo del veliero Goletta Verde dal porto di Genova ispezionando palmo a palmo tutte le coste. L’associazione ha presentato ieri il resoconto e il risultato è tutt’altro che soddisfacente. 

Visto che almeno 18 milioni di cittadini non si servono di un sistema di depurazione corretto, l’inquinamento microbiologico è a livelli stellari, soprattutto in corrispondenza degli sbocchi dei corsi d’acqua nel mare. Calabria, Campania e Sicilia si guadagnano la poco ambita palma di regioni più inquinate. Le più virtuose sono invece Sardegna e Puglia. L’Italia ha subito anche una procedura di infrazione europea a causa del sistema fognario malmesso, ma lo scenario non è migliorato.

Altra questione è il cemento. Un problema è debordante: nel 2010 le forze dell’ordine hanno riscontrato 3.495 infrazioni, quasi 10 al giorno. Sul podio anche qui Sicilia, Calabria e Campania, ma il problema è nazionale. Ovunque nuove darsene, porti turistici e urbanizzazioni massicce stanno mangiando fette di litorale, quasi incontrollabilmente. Senza contare il problema degli ecomostri, vere cicatrici delle spiagge. La top five comprende le case mai ultimate dalla mafia sulla collina del disonore a Pizzo Sella, le 35 ville abusive di Capo Colonna a Crotone nei prezzi dell’area archeologica, ancora in piedi nonostante la confisca, l’albergo di Alimuri a Vico Equense, le villette degli assessori sulla spiaggia di Lido Rossello a Real Monte e il villaggio abusivo di Torre Mileto a Lesina.

Se non bastasse, un’altra minaccia grava sul già provato Mediterraneo: le trivelle. Le più grandi compagnie hanno fatto a gara per spartirsi il (poco) petrolio che giace sotto i fondali italiani. Sono già stati rilasciati 25 permessi di ricerca al fine di estrarre idrocarburi, le aree interessate alla fine potrebbero essere 39 tra canale di Sicilia, Marche, Abruzzo, Molise, Puglia e Adriatico Settentrionale. Il gioco, però, non vale la candela, secondo gli esperti: il tasso di consumo è di 73,2 milioni di tonnellate, sotto i mari nostrani sono presenti 11 milioni, che sarebbero esauriti in un paio di mesi.

Stefano Ciafani, responsabile scientifico di Legambiente, fornisce la ricetta per far respirare ancora il Mediterraneo:

Servirebbbe un green new deal per la tutela delle coste e per il rilancio dell’economia turistica del Belpaese, fondato sulla realizzazione di opere pubbliche davvero utili alla collettività. Si devono aprire nuovi cantieri per realizzare i depuratori per quel 30% di cittadini che ne è ancora sprovvisto, per migliorare un sistema fognario inadeguato a fronteggiare i picchi turistici estivi, per abbattere a colpi di tritolo gli ecomostri di cemento che deturpano le coste. Per non aggravare una situazione già complicata si abbandonino anche progetti insensati come la svendita ai privati delle spiagge con pericolosi diritti di superficie, la corsa alle trivellazioni off shore di petrolio o le ricorrenti proposte di condono edilizio, che costituiscono solo una seria ipoteca per la tutela dell’ecosistema marino e costiero, alla base del turismo di qualità, sempre più importante per il Pil del nostro Paese.

Fonte: Il Corriere della Sera


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