FestivalStoria 2012
Di ANGELO D’ORSI
Due capitali storiche d’Italia, Torino e Napoli, saranno la sede, dal 3 all’8 dicembre 2012, dell’ottava Edizione di FestivalStoria, dal titolo Mediterraneo. Mare nostrum?
Mediterraneo: quanta storia, quante leggende, quanti traffici, quanta cultura, quanto dolore sono nelle tue acque, ora calme, ora mosse, ora agitate, da provocare tremendi naufragi, da far affondare navi poderose che parevano invincibili.
Quel mare, che i romani chiamarono “nostrum”, avviando un mito giunto fino ai nostri giorni, nel corso del tempo è stato soprattutto un luogo fisico e virtuale di congiunzione, di contaminazione, di incroci, e di scontri: culturali, politici, militari.
Quel mare, che Fernand Braudel ha raccontato mirabilmente, quasi testimone ex post di una comunità formatasi nel corso di un paio di millenni, e che costituisce lo sfondo della nostra contemporaneità.
«Che cosa è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre…un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere. E anche le piante».
Sappiamo, certo, che il Mediterraneo ha perso da secoli la sua centralità geopolitica ed economica, e non ha più quel fascino che Braudel e non pochi altri (non solo storici e geografi, ma letterati, teologi, artisti…) prima e dopo di lui ci hanno restituito, nella letteratura, nell’arte, nelle scienze sociali, dalla geografia alla storiografia. Ma esso è pur sempre il più ricco di storia, e di fascino, di tutti i mari della Terra. E tuttavia, negli ultimi decenni, il “mare di mezzo” sembra aver rinunciato completamente alla sua tradizione di centro di incontro (compreso il conflitto) di culture, religioni, etnie ed economie, per diventare una frontiera della Fortress Europe, l’Europa fortezza, barriera di separazione, barricata ostile, invece che spiaggia di accoglienza, spazio di rifiuto piuttosto che di accettazione. Il Mediterraneo ormai ci appare soprattutto come una scacchiera di acque in cui nugoli di profughi, sospinti da guerre, carestie, o semplicemente una fame antica, tentano, sfidando la sorte, che spesso non perdona, di raggiungere dal Nordafrica e dal Medio Oriente, la mitizzata Europa, sognando non un futuro migliore, bensì soltanto un futuro, una qualsiasi prospettiva di sopravvivenza.
Il risultato? Un aggravamento costante della legislazione dei Paesi europei che si affacciano su questo mare, ai danni dei migranti, una politica che si riduce ad azioni di guerra contro i barconi malconci di questi disperati, dai “respingimenti” agli speronamenti: i risultati sono altra disperazione, e morte. Mare di morte, con i suoi ventimila cadaveri che lo popolano (periti negli ultimi vent’anni nelle traversate della speranza: quindicimila solo nel corso del 2011), nella generale assoluta indifferenza: tanto fra gli abitanti dei Paesi del Nord, tra i quali non mancano coloro che se ne rallegrano addirittura (a cominciare da certi leader politici e commentatori), quanto quelli del Sud, che rassegnati piegano la testa, davanti a quei loro fratelli caduti nel tentativo di raggiungere il sogno.
Quel Sud, ossia il Maghreb, oggi è in subbuglio: finora gli esiti delle cosiddette “rivoluzioni” (tuttora in corso) non sembrano esaltanti, anzi, forse hanno prodotto risultati che, positivi su qualche aspetto, per altri hanno peggiorato la qualità della vita della gran massa di quelle popolazioni, senza raggiungere la conclamata “democrazia”, alla quale dimentichiamo di apporre l’attributo che la qualifica: liberale. Esamineremo dunque anche questo punto nodale del tempo presente, nel nostro Festival, con una peculiare attenzione alle donne, e alla loro difficile liberazione in quelle aree.
Esamineremo dunque le vecchie e nuove rotte dei “disperati del mare”; ma proveremo anche a disegnare le mappe dei porti, le loro trasformazioni nel corso dei millenni con l’ausilio di studiosi e di testi letterari e di immagini. Porti, vuol dire economie, profitti, merci; ma anche marinai: uomini di carne ed ossa, che, sovente, oggi patiscono una delle forme peggiori dello sfruttamento, condannati a una sorta di nuova schiavitù.
Un’attenzione particolare sarà riservata alla Grecia, non soltanto quella remota, la Madre Grecia d’Europa (verso la quale oggi i Paesi dell’Unione non sembrano essere molto riconoscenti), sia quella di oggi, appunto, strangolata dai debiti, e sul punto della guerra civile, o forse già nella guerra civile, con una emersione di gruppi neonazisti che stanno lanciando inquietanti segnali al resto del Continente.
Ma nel Festival, naturalmente, si parlerà del passato, delle sue diverse epoche, e non soltanto dei presente. Compariranno, accanto ai Greci della classicità, e all’Egitto culla della civiltà mediterranea, romani, bizantini, islamici, cristiani, pirati, crociati. E li vedremo in azione in situazioni belliche e di pace. Attraverseremo, nel nostro viaggio nei secoli, le piazze e i mercati, assaggeremo il pane e la pasta e sorseggeremo il vino: tre elementi essenziali, e suggestivi, non solo della cucina mediterranea, ma della mediterraneità nel senso più ampio e generale. Cercheremo di capire in quale misura e in quale momento il Mediterraneo sia entrato nella “modernità”, con quali problemi e quali residui di epoche precedenti. E anche come mai oggi quest’area così importante sul piano storico, e non solo, sia diventata una sorta di capro espiatorio della crisi, che arriva da ben altre realtà geografiche ed economiche.
Città, culture, economie, persone: il tutto esposto in forme comunicative leggere, ma rigorose, nel tentativo di applicare i princìpi cui si ispira questa manifestazione, ossia eccitare il bisogno di conoscenza, in nome di quel diritto alla storia, tanto fondamentale quanto trascurato. Lezioni, conversazioni, dibattiti, mostre, spettacoli, concerti. Interviste in pubblico, aperitivi con la Storia, e veloci incontri nelle stazioni della Metropolitana (di Napoli), “aspettando” gli eventi, mentre si aspettano i treni.
In effetti, FestivalStoria, che ha avuto sin qui quale sede della propria attività il Piemonte e Torino, si collega, complice il tema marino, con un ideale ponte a Napoli, che d’ora in avanti sarà sempre sede della manifestazione, insieme a Torino. E, per sottolineare le affinità e le divergenze, a partire da questa, in ogni edizione del Festival ci saranno due eventi – uno per città – che affronteranno le due identità urbane, tra passato e presente. Si comincia con due incontri particolarmente stimolanti: a Torino saranno i due sindaci, Luigi De Magistris e Piero Fassino, a raccontare le loro città; a Napoli, saranno due operai e due operaie di Mirafiori e Pomigliano, che ci parleranno della qualità della vita in fabbrica, in due sedi emblematiche della Fiat, in via di smobilitazione, con i costi umani e non solo sociali ed economici che ciò comporta.
In definitiva, il Mediterraneo, per secoli luogo di incontri e scontri, di formazione e decadenza di civiltà, di scambi commerciali, di intrecci culturali, appare oggi un confine mobile e insidioso, sempre più difficile da controllare, da una parte, da attraversare dall’altra. Noi, gli europei, a proteggere il nostro mondo, loro – i migranti – a cercare di raggiungerlo, affrontando i rischi di una traversata con mezzi di fortuna. Eppure il grande mare è ancora un universo affascinante, alla cui esplorazione si dedicherà questa ottava Edizione di FestivalStoria: e ci interrogheremo sulle trasformazioni di varia natura di cui esso, nei millenni, è stato oggetto e soggetto.
Ci interrogheremo, sul come nel sentire comune, tra eventi e personaggi, situazioni e svolgimenti storici, sia andata cambiando, nel corso dei secoli, la realtà, ma altresì la percezione del Mediterraneo: come vicende diplomatiche, battaglie navali, incidenti, eventi naturali, correnti commerciali, flussi migratori, ed altro, hanno ridisegnato il significato di questo spazio d’acqua, fino ai nostri giorni, quando il Mare nostrum sembra essere se non solo, prevalentemente, una frontiera. Mobile, fluida e sterminata dalla quale è difficile uscire vivi.
Come in ogni sua edizione, FestivalStoria intende non limitarsi a ricostruire, ma dare un “messaggio”: ancora una volta, come nelle sue precedenti edizioni, all’insegna dell’incontro e non dello scontro, della comunicazione e dello scambio, non della chiusura e dell’isolamento.
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