Un modello di sviluppo economico e culturale possibile

Creato il 08 febbraio 2014 da Paopasc @questdecisione
Nel breve momento in cui, stamattina, guardavo Omnibus su La7, parlava il professor Domenico De Masi, sociologo, e diceva due cose: uno, che era profondamente annoiato dalla discussione politica (gossip Berlusconi, Grillo, Renzi), due, che in Italia e addirittura nel mondo manca un modello culturale di riferimento al quale tendere, sia per l'operaio che, più in generale, per la politica. E lamentava, allo stesso tempo, che l'unico modello esistente fosse quello consumistico, di tipo nordamericano, al quale tutti più o meno fanno riferimento quando pensano alla crisi economica e ai modi per risolverla. Due considerazioni sulle quali ci si può trovare d'accordo ma che evidenziano un peccato originale: se è vero che il modello consumistico non è l'unico per attuare la ripresa economica è anche vero, secondo me, che per dare un lavoro e uno stipendio ai disoccupati, e quindi una vita, dobbiamo comunque avere sviluppo economico. E che sia arrivata l'ora che, insieme e forse addirittura prima dello sviluppo economico  ci sia anche il progresso, culturale e scientifico, è un'esigenza inderogabile.
Non è vero, caro professore, che non esistono modelli alternativi al consumismo di tipo occidentale per riattivare la ripresa economica, perchè per esempio uno sviluppo basato su energie rinnovabili,   riutilizzo dei materiali e difesa del territorio e del clima, rappresenta un  modello di ripresa economica oggettivo e praticabile. Se è vero che i paesi in via di sviluppo come Cina, Brasile, Russia e Turchia, tanto per fare qualche nome, se non si disinteressano completamente della questione climatica poco ci manca, è anche vero che l'occidente ha un preciso dovere verso l'ambiente, non fosse altro che per la sua responsabilità di aver dato inizio al processo industriale. Un modello culturale diverso dall'attuale che includa un modello di crescita economica non semplicemente consumistico è non solo  possibile ma   già presente e sarebbe attuabile se avessimo politici in grado di vedere al di là del dato immediato, cioè la loro rielezione. Insieme a questo occorre considerare e tutelare l'esistenza delle genti, perchè se è vero che un rallentamento economico generale non nuoce affatto a una ristretta classe di benestanti nuoce invece parecchio a un'altra estesa classe, cioè tutti gli altri, che non possiedono rendite in grado di far superare loro il difficile momento. 
L'economia non è una rendita fondiaria ma un processo dinamico: se si ferma, produce due classi di individui, una piccola frangia di benestanti con patrimoni e capitali e una grande classe di persone che non ne ha. Se  questa grande classe di non possessori di patrimoni e capitali non ha un modo di mantenersi rischia l'estinzione o di innescare una rivoluzione. Dunque sembra di poter dire che quello dello sviluppo economico è un processo forzato: dobbiamo produrre o riprodurre o riparare ma non possiamo stare fermi in attesa che il pulviscolo della stagnazione (anche culturale) si depositi. Ma, come detto, possiamo trovare un modello alternativo di sviluppo che includa il progresso culturale e scientifico e che da questo si faccia guidare. E così si può dire che proprio il progresso culturale e scientifico può essere il modello di riferimento di cui De Masi lamentava l'assenza, incluso quello le cui conclusioni  preconizzano l'imminente catastrofe climatica dovuta al surriscaldamento del pianeta, insieme agli interventi per evitarla. E' un modello in grado di dare sviluppo economico? Certo, nella misura in cui sostituisce gli attuali prodotti che generano inquinamento con prodotti che generano minore inquinamento. Mentre il recupero dell'ambiente è un processo che non genera sviluppo economico perchè non c'è convenienza economica ma solo ambientale (il benessere ambientale non è una merce di scambio) sostituire i prodotti di consumo e le tecnologie che li producono con altri meno inquinanti non cambia l'attuale dinamica di generazione del profitto e dunque dello sviluppo economico. Anche se la messa in sicurezza del territorio e l'abbattimento degli inquinanti industriali non ricadono in quel processo di dinamica economica che genera profitto per l'imprenditore, servono comunque a trasferire risorse da chi ne possiede (imprenditori, finanza e Stato) a chi non ne ha, lavoratori impiegati, che poi li immettono di nuovo nel ciclo dei consumi, e dunque evitano ugualmente la stagnazione involutiva.
Gli imprenditori devono modificare il processo produttivo avvalendosi delle nuove tecnologie meno inquinanti, la finanza deve finanziare la ricerca scientifica che produce nuove tecnologie e gli Stati devono trasferire le risorse solitamente destinate a clientelismo e privilegi politici alla ricostruzione del territorio e dell'ambiente. Non si chiede di trasformare il modello economico capitalistico ma di migliorarlo. Chi deve fare un sacrificio però c'è, cioè la classe politica e tutti quelli che hanno beneficiato di una sua vicinanza di interessi, mentre agli imprenditori si chiede di riconvertire il processo produttivo. Si noti, inoltre, che la deviazione del flusso di risorse dai privilegi politici (una per tutte, per esempio, le sedici mensilità dei dipendenti del Parlamento) e dalle clientele (le aziende decotte che vivono solo di sussidi ma non producono utili) compenserebbe anche i sacrifici ai quali dovrebbero essere soggetti gli imprenditori, in questo momento di trapasso da una tecnologia all'altra (vedi caso ILVA).
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