Un mondo formato Zelig

Creato il 15 novembre 2010 da Ilgrandemarziano
«È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene.» Questa è l'espressione ufficiale con cui la Prima sezione penale della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 9246/2006 ha definito giurisprudenzialmente il concetto di satira. Ma non c'è bisogno di scomodare la legge per sapere che fin dai tempi di Aristofane la satira ha rappresentato uno strumento forte e cruciale nella critica al potere, nel metterlo alla berlina, nello spogliarlo degli sfarzosi abiti della propaganda e metterlo a nudo per quello che è. E questo vale ancora oggi. Eppure in un'epoca in cui, nonostante tutto, la satira è sempre più presente nei media, televisione in primis, e soprattutto in cui in essa si mescola - e dunque si mimetizza - con la pura comicità, andando dunque ad assumere un più prosaico significato di intrattenimento puro, non riesco a fare a meno di chiedermi: la satira politica fa ancora male?
A giudicare dalla solerzia dei vari tentativi, alcuni riusciti, altri meno, di censurarla, verrebbe da rispondere «sì» senza riserva alcuna. Anzi sembrerebbe forse l'unica attività della libertà di espressione che riesce a dare ancora davvero fastidio al potere. D'altro canto, quando sempre più spesso si assiste alla barzellettizzazione della realtà, ovvero quando così sovente i potenti tentano di imbellettare i loro vizi sorridendo dietro alla simpatia di una pretesa "battuta di spirito", sempre salace, non di rado villana, e quindi usano la comicità (e perciò uno strumento assai vicino alla satira) a loro vantaggio, la questione non mi pare tanto più peregrina. Perché l'assuefazione all'ironia e alla comicità, che tutto sdrammatizza e riduce i fatti a quisquilie, faccende su cui poterci - appunto - ridere sopra, induce a fare questo anche quando si tratta di satira. Dunque è un'assurda stravaganza marziana pensare che l'inflazione (invasione?) di programmi comici, che spesso contengono anche una qualche forma anche blanda di satira, possano costituire una sorta di antidoto omeopatico che viene somministrato goccia a goccia a una popolazione intera, non solo per non farla pensare e addormentarne le capacità intellettuali, ma anche per abituarla al fatto che si può ridere di tutto, anche delle cose per cui in realtà ci si dovrebbe indignare?

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