I numeri però parlano chiaro e credo che abbiano già avuto una buona diffusione: l’operato di Napolitano viene considerato molto positivo dal 18,2%, positivo dal 28,7% , mentre viene ritenuto molto negativo dal 27,6% e negativo dal 25,5%. Insomma la maggioranza degli italiani è scontenta del Quirinale, più scontenta di quanto non dica il 53% di quelli che bocciano il presidente, visto che tra questa maggioranza è prevalente l’opinione più radicale. La stessa cosa si può dire di Monti che ha numeri di gran lunga meno lusinghieri: molto positivo per l’ 8,4%, positivo per il 28,4%, molto negativo per il 33,7% e negativo per il 29,5% dei cittadini. Siamo al 63,2% di no che diventa un dato ancor più pesante perché la promozione a pieni voti raggiunge uno striminzito 8 per cento, mentre la bocciatura senza appello supera un terzo degli elettori. Non parliamo dell’esecutivo apprezzato solo dal 32%.
Contemporaneamente, sempre secondo i numeri forniti dal sito del governo, si nota una crescita sempre più evidente delle forze critiche rispetto all’esperienza dei tecnici, senza tenere conto dell’astensione anche quella a livelli record. In una democrazia normale questi numeri – uniti ai dati reali dell’economia e al terremoto siciliano – sarebbero sufficienti per dichiarare chiusa un’esperienza che si è rivelata infelice sotto molti punti di vista e per spingere le forze politiche ad elaborare programmi che pur tenendo conto dell’enorme danno già compiuto, si focalizzassero su come rimediare alle iniquità e agli errori più evidenti. E invece nulla di tutto questo: il Quirinale e Palazzo Chigi, non perdono occasione di sollecitare un super porcellum o montellum per blindare la situazione pur sapendo benissimo che proprio l’Europa alla quale abbiamo deciso di partecipare non come membri, ma come prigionieri catturati, ritiene che leggi elettorali possano essere cambiate come minimo un anno prima dell’appuntamento con le urne: interventi più tardivi sono democraticamente sospetti. Ma i partiti o ciò che rimane di loro tentano la loro salvezza proprio inoltrandosi su questa strada e anzi non fanno che farci capire di volere comunque buona parte di professori e banchieri dentro il futuro esecutivo.
Chiaro che perdano consensi a vista d’occhio, ma è anche altrettanto chiaro che ci si orienta verso una soluzione di Palazzo in grado di salvaguardare più gli spezzoni di oligarchia e potere presenti nella società italiana che verso la rappresentatività degli elettori che del resto sono lasciati a digiuno di veri programmi ed esposti, ancora una volta, al liderismo personalistico o a riti di una democrazia più di facciata che reale. Senza sostanza politica è poi difficile far fronte agli scherzi da prete, anzi dai pretini come Rutelli e Casini. E’ del tutto chiaro che non ci si sta affatto avviando verso la Terza Repubblica, ma verso il drammatico epilogo della seconda le cui prassi, mentalità, sistemi hanno permeato di sé anche chi osteggiava il padre padrone di questa stagione. Assieme al vuoto di ideali e di idee che si trascina dietro come la bava della lumaca. E senza nuove forze, nuovi soggetti tutti da costruire o da ricostruire, portatori di un progetto politico e non solo di una protesta – per quanto sacrosanta – contro l’assenza della politica e la sua dissoluzione dentro una nebulosa indistinta e ambigua condannata alla dittatura dello spread. Altrimenti non sarà altro che una inquieta e desolante palude, nella quale il declino sarà officiato e potenziato dalla battaglia degli opposti conformismi.
Per chi vuole cominciare a lavorare ci sono già iniziative di diverso genere a cui si può aderire Cambiare si può (qui) o Su la testa! (qui). giusto così, per non dover guardare la democrazia solo in televisione quando votano gli altri.