Un omaggio a Enrico Mattei Presidente dell’Eni fino al 1962

Creato il 27 dicembre 2014 da Appuntiitaliani
Pubblicato il dicembre 27, 2014 da: Arturo Sermoneta

Perché rendere omaggio a Enrico Mattei? Perché occorre avere memoria. Come scrisse Pier Paolo Pasolini nel 1975 “Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell’oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni.

Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese è speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale.”

Occorre allora fare memoria, avere memoria, custodirla gelosamente. Occorre fare luce sul nostro passato, riscrivere una storia, recente e meno recente, scritta dai vincitori, troppo spesso mistificata. Honoré de Balzac diceva: “Dovete sapere che ci sono due storie: quella ufficiale piena di menzogne, che insegnano a scuola, la storia ad usum delphini; e poi c’è la storia segreta, quella che contiene le vere cause degli avvenimenti, una storia ignominiosa”.

Mattei, Pasolini, Moro e poi ancora Falcone e Borsellino: sono solo alcuni dei casi più noti ancora aperti, di verità tradita, vilipesa, umiliata. Tanti, troppi segreti di Stato hanno inquinato ed ipotecato il nostro destino di stato “sovrano”, privato il popolo italiano del diritto di determinare liberamente il proprio futuro. Hans M. Henzemberger diceva: “Il segreto di Stato è divenuto uno strumento di dominio di prim’ordine. Il numero dei segreti di Stato che uno conosce diventa la misura del suo rango e dei suoi privilegi in una gerarchia sottilmente graduata.

La massa dei dominati è senza segreti: non ha cioé nessun diritto di partecipare al potere, di criticarlo, di sorvegliarlo”. Diciamo basta ai tanti troppi segreti di Stato. Diciamo basta a tutto ciò. Diciamo basta innanzitutto recuperando la memoria di quei grandi uomini che hanno pagato con la vita l’amore per il loro Paese e facendo tesoro del loro esempio.

Perché Mattei? Perché egli si inserisce di diritto tra i giganti di quel miracolo economico italiano (partendo dalla desolazione nella quale si trovava l’Italia del dopoguerra), il cui segreto se vogliamo sta tutto in una classe dirigente cattolica, intelligente e lungimirante ed in un’educazione popolare cattolica diffusa che faceva perno sulla famiglia, sul valore del lavoro e del sacrificio per la ricerca del bene comune.

Perché nella attuale decadenza morale della nostra società, le sue idee, il suo esempio, il suo impegno per il bene comune e lo sviluppo del Paese, la sua costante tensione verso l’emancipazione dei popoli (italiano e del terzo mondo) puntando sul “capitale uomo”, sulla creatività, sulla famiglia e su una forte etica del lavoro costituiscono una lezione attualissima per la nostra classe politica insipiente. C’è ancora qualcuno oggi che si batte contro questa de-moralizzazione del popolo, che punta sul “capitale uomo”, sulla sua creatività, sulla famiglia e su una forte etica del lavoro?

Chi era Mattei? Un grande uomo che aveva a cuore l’emancipazione del suo Paese e degli italiani ma anche l’emancipazione dei popoli del terzo mondo.

Nato il 29 aprile 1906 ad Acqualagna nelle Marche da una famiglia non agiata, Mattei fu certamente una persona straordinaria, dalla vita breve ma intensa. Nel 1923 entra come garzone alla Conceria Fiore. Mattei fa una rapida carriera: prima operaio, poi aiutante chimico, infine, a soli vent’anni, direttore del laboratorio. Riesce ad aprire un negozio di stoffe per la madre. Nel 1927, dopo il servizio militare, torna a Matelica e diventa collaboratore principale del padrone della Conceria. Nel 1929 la Conceria Fiore chiude. Mattei si trasferisce a Milano dove continua la sua attività industriale aprendo la sua prima fabbrica, un piccolo laboratorio di oli emulsionanti per l’industria conciaria e tessile. Nel 1934 fonda l’industria Chimica Lombarda.

Si unisce in matrimonio con Greta Paulas, nel 1936, a Vienna. Mattei si diploma ragioniere e si iscrive all’Università Cattolica. Nel maggio 1943 incontra Giuseppe Spataro attraverso il quale entra in contatto con i circoli antifascisti milanesi. Dopo il 25 luglio si unisce, assieme a Boldrini, ai gruppi partigiani operanti sulle montagne circostanti Matelica.

Tornato a Milano riprende i contatti con la DC locale che lo nomina, per le sue doti organizzative più che militari, comandante del Corpo volontari per la libertà. Viene creato, nel 1944, un Comando militare Alta Italia del CLNAI di cui Enrico Mattei fa parte per la Dc.

Alla fine della guerra civile in Italia viene incaricato di liquidare le attività dell’Agip e di provvedere alla sostanziale privatizzazione degli asset energetici. Mattei sceglie di disattendere, rischiando in prima persona, questa indicazione, per conseguire un obiettivo che riteneva fondamentale: garantire al Paese un’impresa energetica nazionale, in grado di assicurare quanto serviva ai bisogni delle famiglie e allo sviluppo della piccola e media impresa a prezzi più bassi rispetto a quelli degli oligopoli internazionali. Mattei riuscì ad affermare il ruolo strategico dell’energia nello sviluppo economico italiano e a ispirare fiducia nel possibile miracolo dell’indipendenza energetica. Fu abile nel costituire una rete di collaboratori capaci di muoversi sulla scena internazionale e questo divenne uno dei punti di forza che la società, oltre gli interessi specifici, seppe offrire all’azione diplomatica dell’Italia. Fu tra i primi a coltivare lo spirito di frontiera e il rispetto delle culture diverse.

Il 27 ottobre 1962 il suo aereo proveniente da Catania e diretto a Linate precipita a Bascapè (Pavia). Muoiono il presidente dell’Eni, il pilota Irnerio Bertuzzi, e il giornalista americano William Mc Hale.

Oggi si può dire che Mattei è stato ucciso 51 anni fa, perchè stava realizzando il bene comune per l’Italia, al di là di quali siano state le reali motivazioni, non ancora accertate storicamente, che hanno decretato la sua morte. Un coraggioso spirito indomito che richiama la figura di Aldo Moro legato a Mattei da una morte violenta, e da quell’orgoglio personale e nazionale che ambiva a fare dell’Italia un Paese autenticamente sovrano, riscattandolo dalla mediocrità e dall’emarginazione nello scenario mondiale.

Mattei diceva che “l’Italia aveva bisogno di lavorare, ma non di andare all’estero solo come dei poveri migranti con la sola forza delle proprie braccia, bensì come degli imprenditori con l’esperienza tecnica”, degna di un Paese all’avanguardia. Amava l’Italia prima del capitale, infatti, operava solo per l’interesse nazionale, senza rendere conto ai vertici politici nazionali, che invece operavano a favore del proprio tornaconto e per soggetti terzi.

La cosa che più sorprende scorrendo la vita di Enrico Mattei, è che pur avendone avuto la possibilità, non si sia personalmente arricchito, tanto che, per dare una pensione alla vedova, fu necessaria una leggina. «Non mi interessa essere ricco in un paese povero», tra le frasi celebri pronunciate da Mattei. Oggi, invece siamo abituati a compensi stratosferici di manager pubblici e privati, capaci o inefficienti, onesti o imbroglioni. Ma ci stupisce anche l’intelligenza dell’uomo-manager che si circondava di dirigenti giovanissimi, mai sopra i 35 anni. Mattei fece abbattere il muro della mensa alzato per dividere gli operai dai capi, parendogli assurdo mangiare separati. O che per avere un prestito a favore dell’Agip offrì in garanzia alla banca i suoi beni personali.L’Italia sarebbe stata certamente un Paese diverso, se questo leader non fosse stato ucciso, forte di una autonomia in campo energetico che è presupposto fondamentale della sovranità di ogni Stato che si rispetti. Al contrario l’Italia è stata, dopo la sua morte, un Paese sempre più al rimorchio di altre realtà nazionali.

«Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei più di vent’anni fa è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita». Cosa volle dire Amintore Fanfani con questa dichiarazione nell’ottobre 1986 al congresso dei partigiani cattolici non è dato sapere ma è difficile credere che gli fosse scappata di bocca.

Di seguito riportiamo un interessantissimo articolo di Gianni Lannes sulle possibili motivazioni che hanno portato alla morte di Enrico Mattei (Fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2014/07/mattei-e-kennedy.html)

Di Gianni Lannes

Altro che sette sorelle: una falsa pista data in pasto all’opinione pubblica. Prove alla mano, i rapporti tra il presidente dell’Eni Enrico Mattei e il presidente degli Stati Uniti d’America, John Kennedy, erano entrati in una fase di piena distensione e di fattiva collaborazione. Dai documenti segreti del Dipartimento di Stato nordamericano e dai rapporti riservati dell’ambasciatore Usa di Roma, 1961-1962, si comprende la ferma determinazione di giungere a un’intesa con Mattei anche affidando ad alcune delle “Sette Sorelle” il compito di trattare gli aspetti tecnici e commerciali dell’intesa. La strategia prevedeva che per giungere a un accordo con il presidente dell’Eni si dovesse favorire la partecipazione italiana a vantaggiose operazioni petrolifere, quali quelle di beneficiare delle fonti e dei circuiti commerciali delle “Sette Sorelle” in Medio Oriente, in Africa e ovunque fosse possibile, al fine di creare alternative ai rifornimenti sovietici. A Roma, nel maggio del 1962, Mattei incontrò l’inviato di Kennedy col quale si trovò d’accordo su tutti i punti del programma approvato dal Dipartimento di Stato. Nei giorni successivi, sempre a Roma, si passò alla negoziazione tra l’Eni e la Esso, di un contratto di approvvigionamento petrolifero di ampio respiro. Si trattò per Mattei di un eccellente affare che prevedeva, da parte della più importante delle “Sette Sorelle”, la cessione mediante contratto pluriennale di petrolio libico contro forniture di aziende del gruppo Eni. Quell’incontro convinse Harriman l’uomo di Kennedy che la politica petrolifera di Mattei mirava a raggiungere un accordo paritetico con le grandi compagnie occidentali, nella prospettiva di superare ogni conflittualità.

Concluso l’accordo commerciale e stabilita la collaborazione tanto auspicata dall’amministrazione Kennedy, restava da realizzare la seconda fase della strategia del dipartimento di Stato, ossia quella del viaggio di Mattei negli Stati Uniti per firmare l’accordo di Roma. Mattei avrebbe ricevuto una laurea ad honorem della Stanford University e avrebbe incontrato il presidente Kennedy, per quel riconoscimento politico che avrebbe probabilmente segnato un nuovo corso del potere di Mattei nella scena politica italiana e in quella internazionale.

 L’attentato di Bascapé impedì a Mattei di recarsi negli Stati Uniti per ricevere quel riconoscimento politico, incoraggiato dal presidente Kennedy, che avrebbe rappresentato l’accettazione formale del suo ruolo e del peso dell’Eni anche nello scenario internazionale. L’attentato ha avuto luogo per impedire l’accordo con Kennedy (assassinato a sua volta un anno dopo), un successo che oltre a rappresentare una possibile via d’uscita ai problemi finanziari dell’ente, avrebbe reso Mattei ancora più potente, con buoni rapporti con gli Usa, senza rivali alla guida dell’Eni, un concorrente pericoloso se avesse voluto puntare alla presidenza della Repubblica, alla prossima scadenza del 1969.

 La strage di Bascapè il 27 ottobre del 1962 fu l’inizio di un classico insabbiamento di Stato. Si celebrarono solenni funerali a Roma, con il presidente della Repubblica Segni, Andreotti e Fanfani in testa, e fu stabilita al contempo una ferrea “consegna”: sulla storia di Mattei doveva calare il silenzio; con lui doveva morire anche la verità sulla sua fine. Al silenzio e alla morte della verità contribuirono depistaggi di ogni genere: la scandalosa “falsa verità” preconfezionata della commissione ministeriale d’inchiesta istituita da Andreotti appena tre ore dopo la caduta dell’aereo dell’Eni; l’archiviazione, nel 1966, della inchiesta giudiziaria da parte dei magistrati di Pavia, che a quella “falsa verità” si accomodarono; la divulgata tesi apparentemente scontata delle “Sette Sorelle” petrolifere o del complotto internazionale avente il sapore della “fantapolitica”.

 L’omicidio di Mattei avvantaggiò, in Italia, tutti coloro che temevano, un rafforzamento del suo potere, al vertice dell’Eni, negli affari, nella gestione delle ingenti risorse economiche dell’ente e nella politica, nel perseguimento della strategia suggerita dagli Usa. Ne approfittò Amintore Fanfani, in rotta con Mattei e, soprattutto per le sue attese politiche e di potere. E si avvantaggiò Eugenio Cefis (capo occulto della P2) cacciato via proprio da Mattei.

 Nel novembre del 1961, suscitando lo stupore della stessa ambasciata britannica, Fanfani chiese di incontrare il responsabile per l’Europa meridionale della Shell, Arnold Hofland. Nel corso dell’incontro spiegò che i motivi che lo avevano spinto a chiedere l’incontro erano dovuti al forte imbarazzo che le operazioni di Mattei stavano suscitando in ambito Nato, tra americani, francesi e altri. Disse che l’obiettivo che si proponeva di raggiungere con quell’incontro era quello di ottenere dai signori della Shell delle condizioni commerciali per Mattei tali da indurlo ad allentare i suoi rapporti con l’Unione Sovietica. Lo scopo di Fanfani era quello di isolare Mattei evidenziandone la pericolosità agli occhi degli alleati occidentali.

Lo stesso scopo si coglie dalla lettura di un rapporto “confidenziale” del Dipartimento di Stato Usa, del 20 ottobre 1958, scaturito da un incontro avuto da Clemente Brigante Colonna, stretto collaboratore di Mattei con alcuni diplomatici americani ai quali disse tra l’altro: «Fanfani e i suoi seguaci sono spesso preoccupati dell’impulsività di Mattei e del suo modo poco ortodosso di condurre la politica. Essi non possono imporre dei limiti alla sua influenza ma sarebbero ben contenti se gli Stati Uniti volessero tentare un’opera di persuasione condotta da persone esterne».

 Il fratello di Mattei, Italo, interrogato dal giudice Fratantonio nell’ambito della inchiesta sul caso De Mauro, nel novembre 1971, riferì che il ministro Oronzo Reale aveva detto a sua figlia Rosangela che Fanfani, Cefis e Girotti avrebbero “fatto fuori suo fratello, tanto più che in quell’epoca era sul punto di firmare un contratto molto importante per gli interessi dell’Italia e riguardante lo sfruttamento del petrolio algerino”. Tenne poi a precisare d’esser convinto che i tre personaggi, “se non materialmente coinvolti nella morte del fratello, fossero per lo meno a conoscenza di quello che gli sarebbe poi accaduto”.

A sostegno di tale convincimento, raccontò che poco prima della tragedia di Bascapè, Fanfani di ritorno dagli Stati Uniti convocò suo fratello e gli disse di non acquistare più petrolio dalla Russia. «In quella circostanza – spiegò al giudice Italo Mattei – mio fratello fu molto chiaro e disse a Fanfani che dal quel momento gli avrebbe tolto ogni appoggio politico, appoggio che avrebbe dato con tutta la sua forza all’onorevole Moro ritenendo costui uomo di maggior capacità e indipendenza».

La politica di Mattei nel Mediterraneo, tradizionalmente filoaraba, avrà con Moro una particolare accentuazione filopalestinese ed è possibile che questo abbia provocato irritazioni nei confronti del nostro Paese. L’atteggiamento dell’uomo politico italiano, che sarà vittima di un attacco terroristico, nascondeva un duplice obiettivo: da una parte, aprire nuovi spazi per l’espansione economica italiana e salvaguardare i nostri interessi nel Mediterraneo; dall’altra, tenere il più possibile l’Italia al riparto del terrorismo islamico.

Le dichiarazioni di Italo Mattei, che convinsero Mario Fratantonio e Ugo Saito a delineare delle ipotesi di responsabilità per l’omicidio di Enrico Mattei, contenevano elementi di forte “rottura”, di “sfida” aperta, di “guerra” a tutto campo nei confronti del leader Dc. In pratica, Mattei aveva deciso di spostare, quindi, i suoi ingenti finanziamenti alla corrente di Aldo Moro aumentandone in maniera decisiva il peso politico.

Aveva fatto un atto di politica interna decidendo di appoggiare un uomo favorevole a una svolta di centrosinistra e più vicino alle sue idee riformiste. Aveva espresso un segnale inequivocabile di politica estera decidendo di appoggiare e di avvalersi dell’appoggio di un uomo che apertamente condivideva la sua politica mediterranea e filo-araba. E c’era, nella reazione di Mattei e negli atti relativi il segno tangibile di un programma politico che, a seguito del riconoscimento di Kennedy, avrebbe chiuso ogni spiraglio ai suoi nemici.

Per il pubblico ministero Vincenzo Calia «l’esecuzione dell’attentato venne decisa e pianificata con largo anticipo, probabilmente quando fu certo che Enrico Mattei, nonostante gli aspri attacchi e le ripetute minacce, non avrebbe lasciato spontaneamente la presidenza dell’ente petrolifero di Stato. La programmazione e l’esecuzione dell’attentato furono complesse e comportarono – quanto meno a livello di collaborazione e di copertura – il coinvolgimento di uomini inseriti nello stesso ente petrolifero e negli organi di sicurezza dello Stato con responsabilità non di secondo piano».

Fonti:

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=mattei

http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/search?q=kennedy

http://history.state.gov/historicaldocuments/frus1961-63v13/d298

http://history.state.gov/search?q=mattei+enrico

http://www.trumanlibrary.org/whistlestop/study_collections/coldwar/documents/pdf/10-1.pdf

http://history.state.gov/historicaldocuments/frus1955-57v27/d135

https://history.state.gov/historicaldocuments/frus1955-57v27/pg_422

Dichiarazioni pubbliche dell’assistente personale del presidente dell’Eni: Benito Li Vigni (http://www.youtube.com/watch?v=zswX8VVvMwA, http://www.youtube.com/watch?v=81gNtkDuZEs, http://www.youtube.com/watch?v=x3p2LDuQRJg)


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