Ma alla fine la questione è del tutto marginale: se al Qaeda ha le dimensioni e l’influenza che le si attribuiscono, di certo il capo, malato e braccato, non poteva essere che una figura poco più che simbolica. Ma è marginale soprattutto perché il mostro è già stato scatenato con una serie di errori catastrofici che hanno creato l’acqua dove il terrorismo islamico può nuotare e sopravvivere.
Insomma con la morte di Bin Laden, vera o meno che sia, non si conclude il decennio che ci separa dall’ 11 settembre, non si mette fine a nessuna guerra e a nessun incubo. Prova ne sia che nella notte, prima dell’annuncio così colmo di pathos da sembrare quasi una mossa teatrale l’amministrazione Usa ha diffuso un’allerta alle ambasciate americane nel mondo, mettendole in guardia da possibili attacchi di rappresaglia di Al-Qaeda.
Dunque l’organizzazione terroristica, ormai diffusa e metastatizzata grazie all’aggressività disinvolta e affaristica del bushismo, non solo è pericolosa come prima, ma forse anche più di prima essendo sollevata dalla necessità di proteggere e difendere il suo simbolo. Ma questo importa poco: ciò che contata per gli Usa è poter festeggiare una vendetta, come solo da essa potesse derivarne un sollievo. E anche un ristoro dalla cattiva coscienza dalle colpe che ad essa hanno portato attraverso una serie di mosse sbagliate e di concezioni imperiali.
Ed è proprio tutto questo che è preoccupante, assai più dell’esistenza in vita o meno di Bin Laden.