Articolo di Roberto Mancini.
La probabile candidatura nelle fila PD del pubblicitario creativo, Palmiro Peaquin, mi evoca alcuni ricordi.
Ricordo con commozione lo straordinario godimento di tutta la redazione della Gazzetta-Matin, allora diretta da Enrico Romagnoli, nell’ avere come editori il trio Carrara-Peaquin-Baccega.
Sopratutto il piacere di essere regolarmente retribuiti da imprenditori così puntuali e scrupolosi, rispettosi dei diritti e del lavoro altrui. Voglio invece dedicare queste righe al signor Fiorentino Peaquin, padre di Palmiro, che incontrai in gioventù. Operaio della Cogne di provata fede comunista, Fiorentino vedeva nella cultura e nella comunicazione uno strumento di miglioramento sociale e emancipazione personale: per questa ragione era singolarmente attratto, ma nel contempo anche respinto, da chi maneggiava la penna.Ai suoi occhi essa era simbolo sia di potere intellettuale e conoscenza, ma anche di oscuri maneggi.
Poiché all’epoca mi occupavo della redazione del Travail, spesso ricevevo le sue visite. Puntualmente Fiorentino mi consegnava lunghissime lettere al direttore, chiedendo venissero pubblicate integralmente.
La diffidenza nei miei confronti ( ero giovanissimo e avevo studiato un poco, entrambe caratteristiche sospette al suo operaismo dogmatico…) gli impediva poi di ascoltare le mie prudenti rimostranze: “come posso, compagno Fiorentino, dedicare un’intera pagina alla tua missiva?” Per questa ragione, determinata dal mio potere di censura, i nostri rapporti furono sempre dolcemente conflittuali, puntualmente mi rimproverava di aver “tagliato” il suo pensiero, singolarmente analogo a quello di Bartali: “ tutto sbagliato, tutto da rifare”.
Un brontolìo continuo, che scemò di intensità solo quando ( dopo anni!!) gli consigliai giornali diversi, cui indirizzare le sue missive. Così sia la redazione milanese dell’Unità (con l’indimenticabile Ibio Paolucci) sia il settimanale Vie Nuove vennero inondati da copiose lettere al direttore, tutte provenienti dalla VDA. Preso l’abbrivio, Fiorentino non si fermò al piano nazionale.
Ricordo con stupore quando apprendemmo e leggemmo due sue lettere, una pubblicata dalla Pravda e una addirittura dal Quotidiano del Popolo di Pechino.
Non voglio però ridurre il personaggio ad una macchietta, tipo i grafomani che in questi anni hanno assediato la redazione della Stampa di Aosta. A suo modo, depurato dai mille, legittimi rancori esistenziali generati da una vita durissima, da operaio Cogne turnista, Fiorentino era una figura nobile, degna di attenzione, stima e riguardo.
Credo che questo disperato bisogno di comunicazione e di cultura si nutrisse di un retroterra vero: una curiosità intellettuale non simulata, non strumentale.
Per questa ragione mi incute dolce rispetto il ricordo del padre, un uomo vero dalla sincera, disperata voglia di utopia e cambiamento, che allora veniva identificata col termine Comunismo.
Quanto al figlio, la sua presunta volontà di lotta contro le ingiustizie, finora si è esercitata solo contro la calvizie, indossando elegantissimi cappelli destinati a celarla.
Dunque sullo spirito “riformista” della sua candidatura preferisco astenermi, per non dire parolacce in pubblico.
Mi viene in mente Tomasi di Lampedusa: “ voi adesso avete appunto bisogno di giovani, di giovani svelti, con la mente aperta più al come che al perchè, e che siano abili a mascherare, a contemperare volevo dire, il loro preciso interesse particolare con le vaghe idealità pubbliche”.
Perfetto, direi. (roberto mancini)