A pagina 100 di “Una cosa piena di mistero”:
La comunicazione si verifica, e a dispetto di ogni altra cosa, quando credete allo scrittore.
Piuttosto interessante quello che scrive Eudora Welty, non è vero? Spesso ci interroghiamo su come accada che cadiamo dentro una storia come se fosse un pozzo. E non ce ne importa un accidente, e se qualcuno cerca di soccorrerci, di tirarci fuori da lì, rischia male parole (si dice ancora così? Boh!).
Questa affermazione (che la Welty sviluppa in una certa direzione, io no), aiuta a comprendere quel fenomeno che di solito si chiama “magia” della scrittura. Che è una faccenda che spesso non ci permette di leggere davvero. Da un pezzo provo a spiegare come sia indispensabile, per chi desidera scrivere un po’ seriamente, rileggere, assumere uno sguardo differente verso la parola scritta.
Una sorta di “occhiali” capaci di vedere oltre.
Lo ripeto per l’ennesima volta: leggere è fondamentale, è la sola strada da percorrere per arrivare da qualche parte (qualunque cosa voglia dire). Ma spesso non è abbastanza. Diventa urgente sforzarsi e fare un passo indietro: e rileggere. Bisogna smettere di credere allo scrittore e osservare la sua scrittura per capire gli errori che NOI dobbiamo evitare.
È per questa ragione che l’esordiente (anche quello molto bravo, oppure mediocre), ha bisogno di uno sguardo differente. Se come lettori veniamo stregati dalla scrittura, qualcosa di analogo (ma più profondo) si verifica quando rileggiamo il nostro scritto. Non vediamo nulla, o quasi. Tutto è perfetto. Ogni paragrafo sembra collegarsi nel modo migliore al precedente e al successivo, e il risultato finale è una sinfonia che inebria ed esalta.
Solo noi.
Quando si trova un lettore esterno, è fatta: allora sì che si saggia la scrittura.
Costui o costei, anche se nelle pagine non ci sono errori o refusi in grado di far squillare l’allarme, può scovare cosa non funziona. E ci riesce non solo per capacità (credo sia un dono, molto particolare), ma perché ha iniziato (per i motivi più diversi), un percorso di comprensione della scrittura. Perché desidera scrivere. Oppure capire perché apre un libro di Garcia Marquez e ci cade dentro (scarpe e calzini compresi).
Costui o costei ci aiuterà a osservare da un’angolazione differente quello che noi vediamo in un certo modo. A volte penso che un racconto o un romanzo debbano considerarsi un paio di stivali, che prestiamo a qualcun altro; con tutti i rischi che questa azione comporta. Perché spesso gli stivali sono stretti, brutti, o troppo grandi. Sembrano buoni, però dopo qualche metro i piedi iniziano a fare male.
Ma è un lavoro da fare.
Dopo, tornare a calarsi nella scrittura sarà persino più piacevole, perché avremo una maggiore consapevolezza sulla qualità e credibilità di tutto il lavoro svolto. Che a prima vista appare facile (“E che ci vuole a scrivere ‘sta roba?”, disse il pazzo), mentre in realtà richiede disciplina e tanto impegno.