Un patrimonio fotografico che non andrà disperso

Creato il 11 settembre 2012 da Maremagazine
Walter Breveglieri, classe 1921 di Crevalcore in provincia di Bologna, è stato un fotografo poco conosciuto da un grande pubblico, eppure, con oltre duecentomila negativi, tutti schedati e tenuti in ordine dalla moglie Paola, negativi nei formati più vari, dal 6x6 alle lastre di vetro, ha documentato cinquanta anni di storia, i fatti salienti dal primo dopoguerra soprattutto dell’Emilia Romagna, dagli avvenimenti sportivi ai processi di grande impatto sull’opinione pubblica alle alluvioni e al vivere quotidiano in zone povere del paese.
Mi piacerebbe che questo mio patrimonio, ha scritto, non andasse disperso. Il tempo e la società in cui abbiamo vissuto gran parte del secolo ormai trascorso sono documentati dalla fotografia. Questo serve a non perdere di vista da dove tutti noi siamo venuti e io sono convinto di aver fornito con le immagini del mio archivio un piccolo contributo alla storia del nostro tempo.”
E sicuramente le fotografie raccolte nel libro 1950-1970 …ieri il Delta visto da Walter Breveglieri ne sono la testimonianza. Il Delta, in quella Comacchio degli anni cinquanta del secolo scorso visti dal suo sapiente occhio fotografico danno una buona occasione di riflessione sui venti anni  che coincidono con una delle pagine più nobili del basso ferrarese e del nostro non lontano passato.
Queste fotografie, anche se si riferiscono a epoche e contesti diversi sono paragonabili per la loro forza a quelle della fotografia sociale americana del New Deal organizzata dalla Farm Security Administration. La fotografia degli anni tra il 1935 e il 1942 negli Stati Uniti, come scrive lo studioso Carlo A. Quintavalle, è un grande documento storico di una crisi sociale e di un diverso atteggiamento da parte delle pubbliche autorità di fronte a questa. La fotografia, come altre arti, per la prima volta viene coinvolta nei bisogni della società documentando per il governo lo stato della metà rurale del paese che la grande crisi e la siccità hanno reso gravissimo.
È lo stesso Vittorio Emiliani, giornalista e scrittore, che nella sua prefazione avvalora, senza però fare paragoni o citazioni, la funzione della fotografia sociale. L’analisi dell’ambiente, la lettura del territorio, il problema del rapporto di questo con l’uomo, la cultura appunto, gli strumenti e i modi del lavoro, i volti,  le persone tutto questo è nel libro, che come scrive Emiliani, ha il pregio di immortalare il momento in cui Comacchio sta lasciando la propria storia passata perentrare nel presente.
 Grazie alle immagini qui raccolte possiamo comprendere sia gli enormi progressi compiuti dalla società comacchiese, sia la riuscita opera di conservazione del proprio patrimonio culturale. In questo bellissimo materiale documentario, intensamente umano, scabro e senza compiacimenti, di Walter Breveglieri, all’epoca sulla trentina (era nato a Crevalcore nel 1921 ed è mancato nel 2000) mi ha colpito, fra le altre, la scritta di un cartello di protesta: l'acqua a 10 lire al secchio. Nella stessa Comacchio, sperduta là verso l'Adriatico, fra le nebbie, l'acqua potabile la portavano ancora le autobotti o le piccole cisterne fluviali, e la vendevano a quel prezzo: a gente che contava i centesimi per avere almeno un pasto frugale al giorno, magari polenta, o "bologna" di terza, con l’immancabile patata americana. Le malattie endemiche, tipiche della povertà, imperversavano colpendo anzitutto i bambini: il tifo, la tubercolosi, la polmonite fulminante, l’anemia mediterranea per i tanti matrimoni o per le unioni di fatto fra consanguinei stretti. Si era sempre campato poco fra quelle acque ferme: nell’Ottocento era dilagato il flagello della pellagra dovuta alla denutrizione, alla mancanza di vitamine, di sali, e all’eccesso di polenta. Sommandosi a quello più antico delle febbri terzane, della malaria.”
Nei paesi del delta si fronteggiavano il faccione baffuto e rassicurante di Stalin che «esorta i popoli a salvare la pace», promettendo il paradiso in terra, e i manifesti delle Acli, dei circoli cattolici, i W Fanfani.
Quando Stalin morì, nella piovosa primavera del 1953, in quei centri desolati, fra le case basse ad un solo piano, si formarono lunghe code di donne e di uomini venuti a rendere omaggio, nell'androne della sezione del Pci, a una sorta di altarino sormontato da un grande foto di Baffone fra le candele accese. Come se fosse stato un taumaturgo.
Una delle immagini-simbolo di quella tragedia collettiva: il bue bianco che ancora affiora dalle acque davanti alla casa colonica. Piovve, anzi diluviò sul bagnato in quell'autunno del 1951. E fuun altro durissimo colpo alle condizioni di vita di quanti già la vita, laggiù, la tiravano coi denti.








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