Leone d’Oro a Venezia 71, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza è un film profondamente complesso, che predilige il nonsense e la surrealità a una costruzione narrativa solida e comprensibile.
Due venditori di maschere da carnevale guidano lo spettatore attraverso trentanove quadri di vita, morte e quotidiana miseria.
Tragicomico e interessato a immortalare la fragilità umana, Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza lascia, purtroppo, profondamente perplessi. Perché l’apparato scenico messo in piedi da Roy Andersson fatica nella messa a fuoco comprensibile al grande pubblico. Difatti la chiara derivazione teatrale (dell’assurdo) probabilmente non trova la necessaria carica su uno schermo cinematografico e il rischio è quello di osservare tableaux vivants fini a se stessi, che esibiscono come trait d’union una coppia di falliti venditori ambulanti di oggetti carnevaleschi (perché è importante saper ridere nella vita), che in fin dei conti appare come sterile espediente per misurare la fatalità umana e la sua assurda esistenza.
Tuttavia non si riesce, fino in fondo, a colpevolizzare eccessivamente Andersson, perché in fin dei conti il pubblico non è più abituato a misurarsi con questi sottili esempi di profonda assurdità, perché allenato a seguire una storia, più o meno, lineare e a cavarne dalla stessa temi e obiettivi, chiavi di lettura e bagagli personali. Ma la stilizzazione estrema e la quasi totale assenza di dialettica dimostrano quanto Un piccone seduto su un ramo riflette sull’esistenza rappresenti un prodotto ad altissimo rischio, difficilmente in grado di dialogare apertamente con il pubblico seduto in sala. Infatti la surrealità delle situazioni e l’ironia nonsense di beckettiana memoria non trovano l’ideale spazio all’interno di un panorama cinematografico che predilige una narrazione solida.
Si sorride amaramente e si fanno le dovute considerazioni sul tempo, sulla convenzionalità delle azioni umane e sulla fragilità di un’esistenza priva di interesse, il tutto rigorosamente con telecamera fissa e una colonna sonora sussurrata. Tuttavia laddove un quadro (l’attivazione di un curioso marchingegno alimentato a schiavi di colore) si pone una domanda fondamentale, nel resto del film la domanda (e la risposta) è affidata al pubblico, che rischia di doversi scervellare eccessivamente per trovare la chiarificatrice chiave di volta. Difatti Un piccione seduto un ramo riflette sull’esistenza andrebbe scarnificato e analizzato in modo analitico, osservando reazioni e banalità della vita.
Contraddistinto da un’inazione estenuante, il film diretto da Roy Andersson fatica a catalizzare l’attenzione e si rivela un gigantesco trattato, che tenta di misurare l’esistenza umana e le sue difficoltà. Tuttavia sul giudizio complessivo permane una latente riserva, che inficia il lavoro del regista scandinavo e fa emergere dubbi enormi sulla scelta della giuria di Venezia 71 di premiarlo con un premio così importante.
Uscita al cinema: 19 febbraio 2015
Voto: **1/2