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Un piccolo seme che mise le sue radici - di Antonino Oliveri

Da La Palermo Vegetariana

Un piccolo seme che mise le sue radici - di Antonino Oliveri

Quando avevo circa sei anni, alcuni contadini regalarono un capretto a mio padre; era un animaletto morbido morbido, dal pelo nero e riccio e dagli occhioni dolci come quelli di un cerbiatto. Fu amore a prima vista! Pur vivendo in città, mio padre mi permise di tenerlo nella terrazza, che era molto ampia ed isolata, ma ad una sola condizione: che dimostrassi di saperlo accudire. Io accettai la sfida e ne ebbi cura con grande amore e responsabilità, dandogli quotidianamente da mangiare e pulendo alla perfezione la terrazza. Il capretto crebbe a vista d’occhio ed era molto affezionato a me, tanto che appena mi vedeva entrare in terrazza mi correva incontro belando, facendo salti dalla gioia e strusciando il musetto sul mio torace. Appunto perché belava così gioiosamente lo chiamai Abele.

Non so quanto tempo durò questo idillio, perché allora non era ben sviluppato in me il senso del tempo: so solo che un brutto giorno il capretto sparì. Mio padre, per cercare di consolarmi, mi disse che era scappato a cercare la sua mamma, ma una mia sorella, invidiosa perché io non le avevo mai permesso di avvicinarlo, mi rivelò che lo avevamo appena mangiato a pranzo. Fu davvero uno shock! Non ricordo per quanti giorni rimasi senza toccare cibo. So che rifiutai di parlare con mio padre e con mia sorella per lungo tempo. Questa triste storia riuscì però, come un seme, a mettere radici nelle mia struttura caratteriale e vent’anni dopo mi spinse a diventare vegetariano.

Da adulto motivai la decisione con ragioni sanitarie, le stesse che osannavano le diete prive di proteine e di grassi animali. Soltanto di recente ho di nuovo sposato anche le motivazioni etiche. Per quale motivo questo ritorno di fiamma?

Perché mi sono convinto che se è vero che noi siamo ciò che mangiamo, è vero che anche il mondo è ciò che mangiamo. Nella nostra società il problema della violenza è così vasto e profondo che non si può escludere che vi sia un legame tra il cibo di cui ci si nutre e il male che dilaga nel mondo. Se è vero che, come afferma Masaru Emoto, l’acqua ha una sua memoria e che le molecole d’acqua reagiscono attivamente all’ambiente, è fortemente plausibile che ogni atto di violenza e di sofferenza venga registrato nell’acqua presente nell’organismo animale e si trasmetta di riflesso in quella di coloro che si cibano di animali maltrattati. Un modo di mangiare “mordi e fuggi”, da predatore, che non tenga in alcun conto la violenza usata per produrre il cibo di cui ci si alimenta, pecca sicuramente di scarsa consapevolezza e, secondo me, può essere anche sospettato di essere complice del dilagare della violenza nel mondo.

E’ per questo che da qualche anno sono diventato anche vegano… e, guarda caso, mi sento ancora più sereno!


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