L’Umbria è terra magica, tra le sue dolci colline si respirano magnetismo e pace. Per Barbara Bracci, quei profumi si
Il nuovo libro è una raccolta “scritta a quattro mani (e due cuori)” con la poetessa Costanza Lindi ed è appena uscito, prima di Natale.
Temi spinosi però circondano le lettere di oggi in Italia, cosa ne penserà Barbara? Chiediamoglielo.
1) Barbara, la poesia è letteratura di nicchia oggi nel nostro Paese? Se sì, perché?
Io credo che la poesia non sia in sé “di nicchia” ma, ahimé, “di scaffale”. Mi spiego: la poesia è un genere che sì, chiede una certa predisposizione d’animo per essere fatta propria e amata. Eppure tutti abbiamo un cuore e una mente per accoglierla. E allora è necessario diffondere la parola poetica, amplificarla, prenderla per mano, portarla nelle scuole, tra la gente, per la strada. Troppo spesso, invece, è relegata ai margini, nel più alto, inarrivabile, polveroso degli scaffali: non parlo soltanto delle librerie ma anche dell’insegnamento (soprattutto a bambini e ragazzi) e dei palinsesti culturali. Io credo che la poesia sia contagiosa e se proprio vogliamo considerarla una nicchia mi piace pensarla come uno spazio privilegiato che si può ricavare dentro ognuno di noi.
2) Il tuo è un poetare fresco e moderno a mio avviso, ti ritrovi in questa definizione?
Sì, e ti ringrazio per questa tua lettura. La freschezza, forse, viene dalla bambina che scrisse quel primo abbozzo di poesia seduta su un’altalena, dalla sempreverde Umbria che continua a ispirarmi, dal mio carattere schietto e poco incline a convenevoli. Non amo gli eccessi di lirismo e le laccature: mi piace scoccare la freccia il più vicino possibile al cuore. E adoro, ogni volta, aggiustare il tiro, cercare la parola indispensabile, l’incastro perfetto, il brivido.
[DONNA CARTA
La carta è donna/
inchiostro la inonda/
Lei fa la sponda./
E rinasce Venere”]
3) Ho recentemente intervistato una navigata poetessa che afferma di non avere fiducia nel mondo letterario italiano, non per mancanza di talenti ma per colpa del mondo editoriale che specula su dei “poveri illusi”, tralasciandone le doti. Che considerazioni ti senti di fare leggendo un’ affermazione del genere?
Con l’autopubblicazione e con la pubblicazione a pagamento sono molti quelli che scrivono un libro e questa è una libertà che non si può negare a nessuno. Il problema a mio avviso è nell’approccio di chi si considera uno scrittore o un poeta soltanto per aver pubblicato un romanzo o una raccolta. Io credo che la poesia sia un atto di responsabilità verso le cose e che richieda, per questo, ricerca, dedizione, serietà, pazienza, metodo. Ma anche umiltà. E questo non può prescindere dalla lettura. Credo che se i sedicenti poeti cominciassero a leggere poesie prima di scriverle pubblicherebbero di meno e ci sarebbe più qualità. Autodefinirsi “poeti” senza troppi dubbi e interrogativi è il primo passo per non esserlo. Io stessa preferisco essere definita “ragazza che scrive poesie”.
I talenti ci sono, ma vanno innaffiati giorno per giorno, con passione e senso critico, lasciando da parte l’eccessiva autoreferenzialità, disponendosi all’incontro.
4) A questo punto, domanda quasi d’obbligo: chi non leggeresti mai, e perché?
Per ricollegarmi al discorso fatto sopra, non leggerei mai i libri di quegli autori che ti aggiungono ai contatti di Facebook e per prima cosa, prima ancora di presentarsi, ti sbattono in bacheca la pubblicità della loro opera.
1) Allora arriviamo a bomba sul discorso della rete: internet e la poesia. Si aiutano a vicenda o è soltanto uno sfogo degli utenti, o aspiranti poeti, che non porta in realtà a nulla per quanto riguarda la diffusione della poesia?
Tutte e due le cose, dipende dall’atteggiamento. Mi spiego: credo che Internet, da un lato, abbia aiutato alla diffusione della parola poetica attraverso i siti specializzati, i blog ma anche i social network, che consentono di leggere testi di autori più o meno noti e di intercettare persone che condividono la stessa passione per la poesia. Io stessa ho avuto modo di conoscere, prima su Facebook e poi nella realtà, tanti colleghi di penna con i quali ho partecipato a eventi sul territorio nazionale. In questo caso il virtuale aiuta a costruire una rete attiva e sana intorno alla poesia. Dall’altro lato, se l’atteggiamento è di pura autoreferenzialità, si assiste al proliferare di gente che infesta le altrui bacheche di propri componimenti senza avere un gusto per la lettura e un interesse all’incontro. Questo fa male alla poesia, è la sua negazione.
2) E’ vero che il fatto che ormai si scrive ovunque (soprattutto la poesia) renderà, un domani, lo scrivere libri senza più senso?
2) Anche qui, dipende. Dall’intenzione, dal rigore. Credo che un libro, non soltanto di poesia, debba essere il frutto di un percorso (esistenziale, filosofico e stilistico) che giunge a maturazione. Quando il frutto sta per cadere, significa che c’è qualcosa da dire e da condividere. Quindi un libro, in questa direzione, avrà sempre un senso profondo.
3) E’ appena uscita la tua raccolta. Tu ne hai già pubblicato qualche testo su internet?
Io scrivo tutti i giorni pensieri su Facebook (piccole prose poetiche che sto raccogliendo e mettendo da parte come una formichina), ma non sono poesie. Per la poesia preferisco la carta – perché, da nostalgica analogica, mi piace più dello schermo, ma anche per tutelarmi – e quindi pubblico soprattutto all’interno di antologie. Dopo “Libra”, che risale al 2009, è appena uscito questo nuovo libro, scritto insieme a Costanza Lindi, “α-vena”, edito da Bertoni. Ancora non ho condiviso poesie di questa raccolta, ma prima o poi lo farò… un assaggio può aiutare a promuovere il lavoro.
4) Dacci dunque tre motivi per cui si dovrebbe avere a-vena.
Ecco i tre motivi: uno) “α-vena” non è una raccolta, è un progetto. Ogni poesia in questo libro è necessaria, ogni poesia in più sarebbe superflua. Due) “α-vena” è un brindisi alle cose piccole, a quelle brutte, a quelle che, se non esistesse l’occhio della poesia, non avrebbero una loro bellezza e una loro dignità. Tre) “α-vena” non è lo sfogo di due anime in pena, ma un canto alla necessità e all’armonia del tutto, nel segno della positività.
6) Organizzi eventi di poesia, sotto varie vesti: qual è il ruolo che ti fa divertire di più?
Il ruolo che mi diverte di più è il coordinamento artistico, perché ho la possibilità di dare una mia impronta all’evento in accordo col mio atteggiamento poetico e col mio ideale di poesia. Mi piace contattare gli ospiti, cercare libri in biblioteca e in libreria, far parlare e giocare altre arti e linguaggi con quello della poesia con l’intento di divertire il pubblico con qualità. Mi piace l’aria carica e frizzante che si respira, mi piace l’attesa prima dell’evento, l’aspettativa. Inizia a piacermi anche stare sul palco: anche questo aspetto fa parte di una crescita personale perché io sono una persona piuttosto timida.
8) Una domanda che non ti hanno mai fatto ma a cui avresti sempre voluto rispondere…
Con quale poeta avresti voluto prendere un caffè? Ora come ora con Wisława Szymborska.
9) Ultima curiosità: esisterà mai un “Poesia bar” vero?
Se aprirò un “Poesiabar”? Non lo so, certo mi piacerebbe creare aggregazione poetica intorno a un caffè vero… per ora però chiudo questo piccolo sogno nel cassetto
L’intervista finisce, la sensazione è che un po’ delle parole di Barbara mi siano rimaste appiccicate addosso, indecise se sussurrare o detonare le verità che il suo carattere deciso e le idee ben chiare significano, con realismo ma fiducia nel futuro: si illude soltanto o ben ripone il suo ottimismo? E il dibattito continua, con le sue opinioni che non combattono ma nemmeno vanno a braccetto con quelle del prof. Buonofiglio (vedi intervista precedente): l’arte così come la intendiamo oggi secondo lei ha ancora molto da dire, pur con le debite specifiche del caso: e voi che ne pensate?
Come trovare la sua opera “Libra”? Il link.
E per sapere di più del suo ultimo libro:
http://www.lagoccia.eu/cultura-e-societa/18390-qa-venaq-lamore-per-la-poesia-nelle-parole-di-barbara-bracci-e-costanza-lindi.html