Primo. Valutare l’opportunità di costituire un Polo di liberaldemocratici comprendente forze omogenee e interessate a non consegnare il Paese alle sinistre tassaiole e a confidare nella forza inespressa, e compressa, dell’economia italiana. Un gruppone in grado di strappare oltre il 50 per cento dei consensi, quindi attrezzato per imporre le riforme all’altra metà della luna. Nel caso, Berlusconi non esiterebbe a farsi da parte, appoggiando un candidato premier autorevole e capace più di lui, in questa congiuntura, di aggregare consensi.
Secondo. Qualora l’opzione sommariamente descritta non si concretizzasse, il piano alternativo prevederebbe lo stesso Berlusconi al timone del Pdl (ammesso che non muti la denominazione) con l’incarico di condurre la campagna elettorale. Obiettivo: strappare il massimo dei voti possibili per negoziare con altri partiti come formare una maggioranza che non faccia pendere troppo a sinistra la politica negli anni venturi.
Previsioni? Sarebbe azzardato farne. E qui ci riallacciamo alla confusione cui abbiamo accennato all’inizio di questo articolo. Non sono i buoni propositi a determinare la realtà, ma è la realtà che suggerisce strategie e tattiche. Aspettiamo fiduciosi. E ribadiamo: chi immagina di poter fare i conti senza il Cavaliere, si illude anche stavolta. La partita è tutta da giocare.