La soap opera italiana — con quasi 4mila episodi prodotti e più o meno altrettanti fan illustri e insospettabili — è arrivata al diciottesimo anno di programmazione, con una media di 2.500.000 spettatori al giorno (divisi equamente tra nord e sud). E per festeggiare un progetto come questo che diventa maggiorenne, la Rai (che lo produce con FremantleMedia Italia) ha pensato a un regalo speciale: un film a tema natalizio con gli attori della soap che andrà in onda il 21 dicembre, in prima serata, sempre su Rai 3.
Nel centro Rai di Napoli dove si lavora senza sosta a «Un posto al sole» (l’interruzione nella programmazione è solo di due settimane l’anno, in estate) c’è entusiasmo. «È un segno che la Rai crede in noi», racconta Paolo Terracciano, allontanandosi solo un attimo dalla stanza dove lui, capo sceneggiatore, lavora ogni giorno con gli altri autori. «Sarà un film con una trama che inizia e finisce, non più puntate unite insieme». Tra gli obiettivi, anche quello di «catturare un pubblico nuovo». È previsto un intreccio di tre storie (con un ospite speciale, Enzo De Caro): «La prima sarà una classica vicenda di vacanze sulla neve. Poi ci sposteremo nel centro storico di Napoli, per raccontare il Natale lì». Questo per mantenere l’equilibrio tra gli ingredienti della soap opera — amore, tradimenti, gelosie, vendette — e quelli che caratterizzano «Un posto al sole», ovvero l’adesione con la realtà e le tematiche sociali. Quando si lavora per tanto tempo a un progetto c’è il rischio di attraversare momenti di stanca, «ma come gli attori crescono con i loro personaggi, anche noi che lavoriamo alla scrittura dei copioni siamo cresciuti negli anni: abbiamo stimoli diversi. Un antidoto alla noia è che “Un posto al sole” tocca tutti i generi: commedia, dramma, thriller, melò…». Quando però vengono approfondite tematiche sociali (si è spesso parlato di camorra, ma anche di rifiuti tossici e di traffico d’organi) «ci inorgogliamo. Per noi più che di soap sarebbe corretto parlare di real drama».
Marina Tagliaferri — che interpreta un’assistente sociale — è nel cast dalla prima puntata. Il set di «Un posto al sole» è ormai una casa per lei che divide il camerino con la sua cagnolina, Bricca: «All’inizio dovevo recitare qui per nove mesi: sono passati 18 anni. I personaggi che interpretiamo sono parte di noi». Tanto che la gente ormai, quando incontra gli attori, li chiama con il nome della soap: «L’affetto fa piacere. Ed è motivo di orgoglio sapere che ci seguono nelle carceri, negli ospedali…». Ma un impegno simile comporta rinunce: «Nel mio caso il teatro, che mi manca tantissimo. Ora, dopo anni, siamo in grado di ottimizzare i tempi delle riprese: spero arrivi la proposta giusta», sospira.
Michelangelo Tommaso in «Un posto al sole» è arrivato da ragazzo. Ora è un uomo, con l’onere di incarnare tutte le virtù del «buono»: «Da una parte lavorare qui ti dà la possibilità di una crescita infinita. Negli anni mi sono trovato a vivere in scena cose poi capitate nella vita vera: a 20 anni, per esempio, ho attraversato fregature sentimentali simili a quelle del mio personaggio». Ma essere un modello positivo può diventare faticoso. L’attore per questo si era preso una pausa (recitando nel frattempo anche per Ozpetek): «Ho avuto una fase bad boy: ero stanco di fare il buono. Diciamo che ho avuto un momento alla Miley Cyrus», ride. Poi però la turbolenza è passata «e ho avuto l’opportunità di ritrovare il mio personaggio che aveva perso la via».
Riccardo Polizzy Carbonelli in scena invece è il cattivissimo Roberto Ferri. L’adesione con la realtà è nulla: amato da tutti, il giorno del suo compleanno (il 17 ottobre) ha offerto cappuccini e brioches all’intera produzione. Lui su questo aspetto ci scherza su: «La gente che mi incontra ormai mi dice: perché sei così cattivo? Oppure, direttamente: chiedi perdono a tua moglie…».
«Bisogna sempre ricordare che si tratta di un meccanismo industriale. A cui però applichiamo la nostra creatività», spiega il produttore Fabio Sabbioni. I numeri sono da industria: in 18 anni ci sono stati 3.849 baci, 62.996 comparse, 29 matrimoni (girati e mancati), 20 funerali, 441 schiaffi, 18 personaggi arrestati e 3.052.940 caffè bevuti. «Ma — riprende — veniamo percepiti dalla gente come un contenitore “etico valoriale”. Per questo quando parliamo di mafia, di camorra, abbiamo sempre scelto di non mitizzare il racconto, come spesso invece si vede fare in tv». Il bilancio di questi primi 18 anni è dunque positivo. Se ne possono ipotizzare altri 18? «Il format australiano a cui facciamo riferimento, “Neighbours”, è arrivato a 28 anni. Siamo pronti per arrivarci».
Chiara Maffioletti per "Corriere della Sera"