Alessandro Bertagnolli – Presidente di Consorzio Vini del Trentino
Caro Alessandro, ci conosciamo poco. Ci siamo solo incrociati in qualche occasione pubblica e niente di più. Ma mi sei sempre risultato simpatico, a pelle. Poi credo che tu, insieme al direttore Webber, abbiate cercato, per come avete potuto, di rispettare il territorio e di rappresentarlo dignitosamente attraverso il vino. Mi viene in mente, per esempio, la partecipazione attiva della tua Cantina all’Associazione Castel Beseno, uno dei pochi laboratori territoriali di cui dispone il Trentino. E poi, cosa vuoi che ti dica, come faccio a provare antipatia per uno che ha chiamata Stella Rossa, la sua azienda agricola?
Ma questi sono pensieri e sentimenti personali, che non c’entrano con quello che sto per scriverti. Ora sei un uomo delle istituzioni, sei al vertice di quella che dovrebbe essere la cabina di regia del vino trentino. Uso apposta il condizionale perché, talvolta, ho la sensazione che la plancia di comando stia da un’altra parte, fra Ravina e la Rotaliana. Ma tant’è.
La tua elezione, a presidente di Consorzio, ho paura sia stata un operazione di marketing, piu che un’operazione politica. In questi mesi, mal suggerito da cattivi suggeritori, Consorzio si sta innamorando di una parola: sostenibilità. Ne avremo un assaggio al prossimo Vinitaly, mi par di aver capito. Un sostantivo, sostenibilità, da cui discendono poi una serie di aggettivazioni da affiancare al vino trentino. Cosa significhi questa parola, io personalmente non lo ho ancora capito bene. E’una parola come un’altra, che vorrebbe alludere, credo, all’immaginario di una viticoltura pulita, naturale, biologica e magari anche un pochettino vegana. Ma è una parola, dietro la quale, si nascondono numerosi trabocchetti. A partire dal fatto che, come ho già avuto modo di scrivere su questo blog, questa categoria dello spirito non aiuta a distinguere i territori; semmai rischia di confondere il Trentino nel calderone di tutti gli altri territori del vino: l’inclinazione “green” ormai è un patrimonio, vero o finto, di tutto il mondo, dalla Nuova Zelanda al Cile. E’ un presupposto, diciamo così, minimo per restare sul mercato del futuro. Ma non è un segno distintivo su cui forgiare la nuova immagine, se questo è l’obiettivo, del vino trentino.
E soprattutto rischia di diventare una sorta di marchio dietro cui si può nascondere di tutto e il contrario di tutto. Come l’infinità di marchi di ideazione pubblica di cui si fregia il Trentino. Mi vengono in mente le Osterie Trentine, dove puoi mangiare tranquillamente anche la pizza napoletana. O le Botteghe Storiche, fra cui puoi trovare anche negozi aperti vent’anni fa. Insomma bufale su bufale. E la lista potrebbe continuare a lungo.
Ho paura che anche la tua bella faccia possa fare questa stessa fine. La bella faccia montanara, di un uomo per bene e di un viticoltore biologico, usata dai markettari di palazzo TuttaFrutta e dintorni per fabbricare l’illusione di un vino che non c’è. Probabilmente tutte queste cose le sai già. E nel momento in cui hai accettata la presidenza, eri ben consapevole di questo rischio. Ma io mi sento di dirtele queste cose. E di metterti in guardia dagli stregoni del marketing che hanno già pronto il modo per usare la tua faccia pulita e la tua barba ribelle come una maschera buona per Carosello.