Lascio la mia macchina in un parcheggio poco distante l’azienda in questione e raggiungo l’entrata a piedi. Scorgo subito un gruppetto di ragazzi che stanno posizionando delle gabbie per terra. Un vecchio camioncino ha le portiere aperte e al suo interno vedo altre persone che stanno prendendo delle torce. Affretto il passo e mi infilo il passamontagna. All’improvviso mi blocco. Sono ancora in tempo per tornare indietro. Ma non lo faccio. Proseguo a testa alta, sicura di voler vedere in faccia la realtà.
“ Uno nuovo. Dai sbrigati! Prendi questa torcia e seguici”.
Un ragazzo mi passa il necessario per farmi luce all’interno del capannone. Nessuno mi chiede il mio nome. L’incognito è d’obbligo.
“Originale il tuo passamontagna. La prossima volta comprane uno di lana. Dammi retta, con quello sembri Batman”.
E’ una ragazza a parlare e con le sue parole fa voltare il resto del gruppo che si concede una risata collettiva. Duccio mi osserva e per un attimo ho paura che mi riconosca, ma si volta e scavalca il cancello con un salto atletico. Due ragazzi rompono i vetri con un oggetto di ferro e ci fanno cenno di entrare. Nel buio cammino lentamente incredula per la prontezza con cui gli altri riconoscono gli uffici e si catapultano all’interno per rompere con calci e bastonate dei computer mentre una ragazza scrive slogan animalisti sul muro con una bomboletta di vernice rossa. Non riesco a fare come loro. Assesto solo qualche timido colpo alle tastiere, ma non riesco a fare oltre.
“Forza dirigiamoci nel reparto scientifico. Venite a rompere i vetri per passare le gabbie”.
E’ Duccio a parlare. Sono in preda al panico. Seguo il gruppo per un corridoio lungo e stretto. Corrono per paura di essere scoperti. Il tempo in questi raid è fondamentale. La ragazza spinge una porta e fa luce all’interno della stanza. Quello che vedo non ha dell’umano. Mi appoggio allo stipite e lascio che gli altri si avvicinino concitatamente agli animali. Sento la testa che gira. Le gambe che tremano e un sudore freddo che scende dalla mia fronte, bagnando il passamontagna. Un centinaio di conigli sono chiusi in loculi bui, senza cibo con solo un abbeveratoio. Ma questo è niente. Hanno aghi infilati nelle zampe e addirittura negli occhi. Il sangue si è cicatrizzato intorno alle ferite. Alcuni hanno anche una gamba amputata. Sono ancora ferma. Incapace di agire. Guardo questi ragazzi che aprono le gabbie, staccano gli aghi e salvano solo pochi esemplari. Gli altri dovranno rimanere lì. Non è possibile liberarli tutti. Allora penso alla loro tristezza di aver visto in faccia la libertà per perderla subito. E penso a noi stupidi umani che compriamo questi prodotti di bellezza, queste creme che uccidono una schiera infinita di innocenti.
“ Veloci passate gli animali dalla finestra e spengete le torce. Altrimenti possono vedere le luci da fuori”.
Mi volto, e con la poca forza che mi è rimasta, raggiungo gli uffici. Distruggo con una foga sovraumana gli ultimi schermi dei computer rimasti integri. Come possono queste persone svegliarsi la mattina e venire a lavoro? Come possono vivere con un tale fardello sulla coscienza? Striscio nel corridoio, la testa mi gira, ma ritorno nella stanza delle torture.
“Dove eri finita dannazione? Prendi questo povero coniglio e passa dalla finestra. Veloce, dobbiamo andarcene!”
La ragazza urla disperata e mi spinge fuori. Stringo quell’esserino indifeso e quando lo guardo il mio cuore manca un colpo. Ha una zampa amputata. Sento l’erba sotto le mie scarpe. Siamo finalmente fuori. Svengo. (Continua)
SAMANTA