Un regno che non c’è

Da Andreapomella

Oggi sono uscito più presto del solito. L’alba è l’ora in cui riesco a dormire meno. Quando non ci riesco del tutto preferisco inoltrarmi nella vita. Con il sole appena dietro la città è tutto meno banale. Ho visto lo sguardo sveglio di una ragazza dentro la sua macchina, questo essere senza sonno aveva gli occhi ben aperti, nessuna traccia della notte sul viso, l’ho vista filare via sull’enorme piattaforma d’asfalto, via verso casa o verso un posto di lavoro. Quale sarà il mestiere di una donna così? L’ho immaginata metter piede in un ospedale di periferia, vestirsi di un camice bianco con i bordi azzurri, riempire il suo carrello di detersivi, scope, buste per la spazzatura, disinfettanti, guanti di lattice, compilare il suo foglio di lavoro e predisporre il giro delle stanze, prima ancora di tutto questo prendersi un caffè forte al distributore automatico, offrire un tè alle ragazze del turno di notte, mandare un sms di buongiorno al suo giovane marito ancora a letto, affacciarsi alla finestra per guardare il sole mentre sale dietro gli orli grigi dei palazzi, mordersi il labbro per un pensiero, per due pensieri, per tre pensieri. Chissà se questa donna delle pulizie con un viso autunnale desiderava davvero trovarsi dentro questa storia marginale di gente senza sonno che si tuffa nella città all’alba come dentro un fiume non ancora infettato. La nostra esistenza è fatta di questi tappeti cosmici che si incrociano, dove ciascuno riscrive la vita di un altro, che è pur sempre il modo più spiccio per decifrare la vita propria. E perciò se la ragazza col viso autunnale in realtà non facesse la donna delle pulizie in un ospedale di periferia, bensì diecimila altre cose inimmaginabili, io sarei un uomo diverso, tutta la mia vita sarebbe diversa, la mia percezione delle cose sarebbe diversa. Quello che facciamo sempre mettendoci in relazione con gli altri è costruire un regno che non c’è.

*

Miroslav Kosuta, LA GENTE SENZA SONNO

Prima di mattina la gente senza sonno
per la città ansante si trascina sulla riva
in cerca del molo. Era ancora lì, l’altro giorno,
teso verso l’oltremare. Ma l’ha spazzato via.

La burrasca? La tenebra? L’onda che erode?
L’ultima nave salpata prima d’attraccare?
Mentre nel cielo si diffonde un pallore,
ogni ora non più di un minuto vale.

Fissano quest’assenza del molo,
questa freddezza che toglie il fiato.

A oriente, dove tutto inizia di nuovo,
il giorno senza di loro sorge pacato.


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