Giuseppe Acciaro, di Bologna, ci racconta di sé: “Ho pubblicato racconti e poesie su varie riviste ed antologie (Daemon, Virgole, Inchiostro, Edizioni del Laboratorio, Antologia dei poeti bolognesi, Raw, Macabrina, Fatece Largo, L’Orto…). Ho vinto ex-aequo il Premio Città di Busseto (1990) e il Premio Navile (1996). Sono stato tra i finalisti del Premio Massimo Troisi (1999)”.
Racconto “UN RICCO TRACCIATO” di Giuseppe Acciaro
La tela era stata rattoppata in un piccolo punto della parte destra dell’estremità inferiore.
Il lavoro era stato eseguito con molta perizia, da risultare quasi invisibile. Sal cercava il posto ideale dove fermarsi. Superò un paio di olivi, raccolse da terra un’euforbia marittima, che gli piaceva molto per la sua forma. Il sacco sulle spalle cominciava a pesargli, e sospirando lo depose delicatamente a terra. Anche la mano che stringeva il borsone gli doleva, così si decise ad appoggiare anche questo sul suolo polveroso. Si tolse il cappello di paglia per asciugarsi la fronte. Nel borsone aveva anche degli abiti di ricambio, ma prima intendeva darsi una bella rinfrescata. Intonò una vecchia canzone che sua madre metteva spesso sul piatto del giradischi: “Streets of Laredo”. La melodia l’aveva sempre affascinato,e una delle sue versioni preferite era quella di Johnny Cash. Qualche uccellino nascosto tra gli alberi sembrò esibirsi in una sorta di controcanto. La giornata era calda ma asciutta, proprio il clima che Sal preferiva. Aveva praticamente terminato il suo lungo percorso attraverso l’Italia. Era stato ospitato da contadini, ricchi possidenti, nobili, borghesi, da persone insomma di ogni categoria sociale. Non aveva preordinato nulla. Le conoscenze erano state casuali, così come gli eventi relativi agli incontri, le amicizie derivate erano nate spontaneamente. A tutti lui aveva parlato del suo scopo, del suo modo diverso di godersi una vacanza estiva, del suo desiderio di inventarsi un nuovo approccio, di caratterizzare un periodo della sua vita. Ogni giornata era stata differente, marcata dalle istanze del momento. In altre occasioni gli era capitato di improvvisare, di affrontare circostanze insolite, ma mai in modo continuativo.
Dal borsone tirò fuori una bottiglia di Barrò (Valle D’Aosta Torrette). Gliela aveva regalata Franco Himmer, un baffuto signore di origini austriache che gestiva un locale. Stappò la bottiglia, ammirò il colore di un bel rubino brillante e aspirò a lungo il profumo di fiori di bosco. Ne bevve un piccolo sorso e lasciò che il liquido sostasse qualche istante in bocca. Ripose la bottiglia e ne tirò fuori un’altra, stavolta si trattava di un Ruchè di Castagnole Monferrato, recuperato in un paesino dell’Astigiano. Il colore risultava simile al precedente, ma l’aroma ricordava la rosa, la viola mammola e l’albicocca, un delicato mix tra essenze floreali e gusto alla frutta. Non intendeva ubriacarsi e nemmeno sentirsi un po’ alticcio. Voleva invece rievocare le sensazioni legate a quei sapori. Il suo viaggio attraverso le regioni italiane gli aveva permesso di raccogliere tante informazioni, riguardo i vini, la frutta e la fauna locale. Lui aveva cercato le affinità, gli accostamenti, i nessi. Non era il suo scopo principale, ma voleva indubbiamente che le sue esperienze sul campo gli permettessero di accrescere il suo sapere riguardo la natura e i prodotti della terra. Una forma di conoscenza diretta e vitale, probabilmente la più intensa. Una necessità che si era andata formando e consolidando negli anni, che finalmente aveva trovato il tempo, l’energia e soprattutto il sistema per soddisfare.