Un ricordo di Wes Craven (1939-2015)

Creato il 31 agosto 2015 da Af68 @AntonioFalcone1

Wes Craven

Ci lascia il regista, sceneggiatore e produttore Wes Craven (Wesley Earl, Cleveland, Ohio, 1939), morto ieri, domenica 30 agosto, a Los Angeles, fra gli innovatori del genere horror a partire dagli anni Settanta, quando con Last House On The Left (L’ultima casa a sinistra) esordì nella regia, dopo essersi laureato in Lettere e Filosofia a Baltimora e aver svolto vari lavori (professore di lettere, chitarrista in un gruppo rock e tassista a New York).
Classica pellicola a basso costo, particolarmente controversa, la citata opera d’esordio (ispirata a La fontana della vergine, Jungfrukällan, 1960, Ingmar Bergman) delineava già lo stile proprio di Craven, narrare, sfruttando il senso disturbante di un esplicito ed esibito raccapriccio, l’insinuante violenza propria di certe città della provincia americana, magari lontane dall’attenzione del governo centrale, dove le classiche famiglie borghesi, turbate dal dover affrontare fantasmi ed incubi sempre presenti, con varie ripercussioni, all’interno della struttura sociale (gli strascichi della guerra in Vietnam erano ancora evidenti), ricorrono anche alla giustizia privata in forma di brutale, e simbolica, esecuzione di massa.

Tematiche presenti pure in The Hills Have Eyes (Le colline hanno gli occhi, 1978), anche se l’acuto e disilluso sguardo di Craven sulla realtà e i suoi continui mutamenti, unito all’indubbia inventiva, troveranno il loro apice in A Nightmare On Elm Street (Nightmare ‒ Dal profondo della notte, 1984), seguente a titoli come Deadly Blessing (Benedizione mortale, 1981) e Swamp Thing (Il mostro della palude, 1982).
Craven diede vita ad un nuovo mostro, una moderna reinterpretazione dell’Uomo Nero nelle vesti di Freddy Kruger (interpretato con sinistra bravura da Robert Englund), pronto con i suoi artigli d’acciaio a lacerare ogni anelito adolescenziale, volto ad affrontare convenzioni e parametri sociali, che sembra poter prendere vita solo nei sogni.
Nella realtà di ogni giorno, invece, incombe l’ulteriore paura di dover affrontare il superamento dell’adolescenza e il conseguente passaggio all’età adulta di una generazione (“quella degli anni Ottanta”) la quale sembra ferma più alla ricerca di una visione e della sua estetica che a concretizzare reali esperienze di vita, tormentata quotidianamente da nuovi pericoli e perturbanti incursioni all’interno del proprio mondo. Dopo tutta una serie di sequel cui rimase estraneo, Craven nel 1994 ripropose il personaggio di Kruger in Wes Craven’s New Nightmare (Nightmare ‒ Nuovo incubo), riportandolo alle origini ed inserendolo all’interno di un contesto metacinematografico dove tutto si mescola e confonde.

Realtà e fantasia, raziocinio ed irrazionalità andranno a costituire un particolare ensemble narrativo idoneo ad esorcizzare la stessa magia propria del grande schermo, confluendo in un inedito punto di vista, che allo stesso tempo unisce e divide, come accadrà nel geniale e stilizzato Scream, 1996, e anche nei suoi seguiti numero tre e quattro (dimenticabile, a mio avviso, il numero due), definitiva congiunzione tra ironia ed horror, in guisa di valido espediente per tollerare la follia del quotidiano. Nel pescare fra i vari titoli della filmografia di Craven, da ricordare sicuramente l’inquietante e suggestivo The Serpent And The Rainbow (Il serpente e l’arcobaleno, 1988, dall’omonimo romanzo di Wade Davis), dove il terrore viene sfruttato a proprio uso e consumo dalla classe governativa dominante in chiave di controllo politico, il forse sottovalutato Shocker (Sotto shock, 1989) metafora di quanto l’universo dei mass media possa divenire una particolare prigione mentale, mentre i nuovi mostri sono generati dalle stesse deviazioni scaturenti da una società sempre più chiusa in se stessa, alla ricerca di un isolazionismo (The People Under The Stairs, La casa nera, 1991), illuminato da lampi convenzionalmente sociali, in nome dell’opportunismo e della facile condivisione.


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