Il mio romanzo non segue uno schema: devo scrivere per scoprire cosa sto facendo.
Tuoni e fulmini! Ma non si dice sempre (o quasi) che nella scrittura di un romanzo occorre sapere che cosa si fa? Che non si può procedere alla cieca? Questo è un sistema che può funzionare coi racconti, non coi romanzi!
Chi diavolo scrive queste cose?
Flannery O’Connor.
È un bel pasticcio. O forse no.
Potremmo cavarcela affermando che la O’Connor scrive queste cose ma tende a semplificare. È possibile, anche se lo ritengo poco probabile da parte di una persona che non mi pare abbia mai amato la semplificazione. Il suo cruccio era semmai vedere come l’esistenza venisse ridotta a un banale processo di somma dei giorni.
Al termine dei quali, si muore.
Il pensiero, dopo aver letto questa sua frase, va a tante guide che si trovano in giro, e che a proposito dei romanzi spiegano che ogni aspetto della storia deve essere studiato con cura. In effetti mi rendo conto che “It” senza una robusta preparazione e uno schema di ferro, avrebbe portato Stephen King a diventare un ospite permanente dei manicomi federali.
Propongo però di lasciare da parte il concetto di schema, e di concentrare l’attenzione su quello che dice dopo.
per scoprire cosa sto facendo.
Però anche qui la questione è tutt’altro che risolta vero? Un romanzo non è soltanto quella cosa “che ha più pagine” rispetto al racconto. È un’opera che pretende un metodo di lavoro differente. Su questo siamo abbastanza d’accordo, credo.
E se scrivere avesse a che fare con una specie di rivelazione? Non è un argomento popolare: la letteratura deve intrattenere, e basta. Ma quale rivelazione, non ne abbiamo bisogno! Ci pensa la scienza!
Peccato che la scienza non si occupi affatto di rivelare, ma di capire qualcosa su come funziona questo baraccone chiamato universo. Mette assieme le tessere del puzzle, insomma, senza avere idea di quale disegno si comporrà alla fine.
Torniamo a zia Flannery.
Benché sia “scomodo” da accettare, la sua affermazione è perfetta se accettiamo una letteratura che sia anche rivelazione. Che te ne fai a questo punto di uno schema, o di una rigida pianificazione? Niente, esatto.
Devi solo essere attento, efficace, per riuscire a coglierla. Per lei questo era la letteratura: indicare a pochi lettori che quella faccenda che chiamiamo in modo sbrigativo vita, è complicata, non semplice.
In un mondo dove istruzione ed economia tendono a ingabbiare e a rendere tutto leggibile alla prima occhiata, parlare di rivelazione, significa piazzare del tritolo.
Altro che “impegno”.