Proprio in coincidenza con i “giorni della merla“, tradizionalmente quelli di fine gennaio, i più freddi dell’inverno, in molti luoghi e anche tra le mie montagne la notte gelida si accende di grandi falò, che dovrebbero esorcizzare l’inverno.
Una piccola processione di abitanti del paese, vestiti con abiti antichi, grandi tabarri e cappelli a larga tesa, si avvia verso il campo dove è stata accatastata la legna, agitando campanacci e battendo su pentole e coperchi per spaventare, con il rumore, l’inverno e costringerlo a fuggire.
Poi, mentre le lingue di fuoco si alzano crepitanti verso le stelle, fino a farle impallidire, e nubi di fumo denso si gonfiano nel cielo cominciano a girare bicchieri colmi di vin brulè, aromatico e speziato, e vassoi carichi di frittelle.
Da qualche parte salta fuori una fisarmonica e si improvvisano cori, con i visi rivolti verso le fiamme che ardono e gli occhi che lacrimano per il freddo ed il fumo, ma è bello stare lì, stare in compagnia, scambiare parole leggere e sorrisi.
E’ un modo semplice e un po’ ingenuo di guardare al futuro, di aspettare la primavera.