Tutta la storia di Mona è scandita dal suo tamburellare con le nocche e dall'apparizione di segni matematici: la giovane maestra inquadra tutto nella gabbia sicura del calcolo, delle cifre e della geometria, cercando di inserirsi in essa con i suoi rituali scaramantici e nervosi. Ma la vita non è matematica, non è regolarità e non è prevedibile quanto un'espressione: la vita sfugge, i sentimenti si dibattono, il destino non è riassumibile nei numeri che fanno capolino qua e là nella vita di Mona e dei suoi allievi. Non basta sommare delle cifre per ottenere una situazione coerente e rasserenante, esattamente come non si può pensare che un essere umano sia dato dal semplice raggruppamento dei suoi arti.
In Un segno invisibile e mio ho trovato una storia coinvolgente, a tratti eccessiva (Mona Gray sembra avere troppe stranezze per una persona sola), ma sorprendente, avulsa da ogni appiattimento sulla banalità, oltre che ricca di corrispondenze interne fra i personaggi, i ricordi e, naturalmente, il mondo dei numeri. Ho fagocitato questo libro con la curiosità di scoprirne il finale, guidata dalla scrittura leggera di Aimee Bender e dal suo particolare modo di presentare i dialoghi in successione, senza virgolette, come formule di un'equazione da sviluppare. Non so se questo effetto fosse voluto, ma, pur nella mia ignoranza in matematica, ho trovato curioso questo aspetto, che ha certamente contribuito a farmi apprezzare il romanzo.
Aimee Bender
C'è un solo aspetto negativo in tutto questo: devo rispettare la sorta di giuramento che ho fatto di non comprare libri almeno fino a che non avrò significativamente ridotto quelli in coda di lettura (quelli del progetto rilettura fanno eccezione, ovviamente). Quindi la lettura de L'inconfondibile tristezza della torta al limone dovrà aspettare, proprio ora che l'ho visto comparire sugli scaffali del mio nuovo paradiso libroso.
C.M.