Una volta i libri italiani di musica erano enciclopedici elenchi di recensioni di dischi. La nostra posizione geografica alla periferia dell'impero ed oltretutto a lungo esclusi dai tour dei musicisti americani ed inglesi, ci ha costretto a concentrare il nostro vissuto del rock soprattutto sui vinili. Paolo Vites è uno che ha avuto il coraggio di vivere fino in fondo il proprio amore per la musica rock non solo come passione ma facendone una professione, trovando il coraggio di realizzare la propria vita come rocker, sia pure come writer invece che come musicista. Paolo Vites è un giornalista rock professionista, conosciuto ed amato, ed ha già pubblicato libri in cui racconta invece in prima persona della propria esperienza (Do You Believe In Magic), oppure scrive la biografia del proprio musicista preferito, Bob Dylan (Quarant'anni di canzoni). Ritorna sulla scena del delitto con questo "Un sentiero verso le stelle (sulla strada con Bob Dylan)" che non è però narrato, questa volta, dal Paolo Vites giornalista ma piuttosto dal Paolo Vites fan, fan assoluto di Bob Dylan, che testimonia di tutte le volte in cui ha assistito ad un suo concerto dal giorno in cui, da ragazzino, è riuscito ad acquistare il suo disco del 1976, Desire. Come in un racconto giallo Paolo mette assieme, pazientemente, un pezzo alla volta, gli elementi di un puzzle la cua soluzione potrebbe essere la risposta alla domanda: chi è veramente l'uomo Bob Dylan, l'idolo di due o tre generazioni, l'artista che assieme ai Beatles ha inventato la musica rock, la (contro)cultura stessa di noi una volta giovani e dei nostri figli giovani di oggi. Un'indagine che si svolge nell'unico modo possibile, quello di assistere ad ognuno dei concerti che Dylan ha suonato in Italia negli ultimi venticinque anni (non mi ero mai accorto che fosse venuto dalle nostre parti tanto spesso, io l'ho visto non più di un paio), studiandone i modi e le canzoni, ma anche appostandosi nei backstage o nelle hall degli alberghi o ancora entrando in confidenza con i musicisti e con l'entourage. Il detective Vites non indaga solamente in proprio ma non trascura di interrogare i testimoni, gli amici che hanno avuto la ventura di arrivare più vicini all'indagato, magari come autisti, guardie del corpo quando non addirittura musicisti di supporto (come il grande Elliott Murphy, il primo dei "nuovi Dylan", che nonostante il peso del titolo racconta di non aver mai avuto la ventura di parlare a tu per tu con Mr. Zimmerman).
Un enigma che non arriva ad essere svelato nelle pagine del libro, perché al detective Vites non riesce mai di mettere il suo idolo alle strette e di sparargli domande che non gli mancherebbero, ma ci arriva molto vicino. Il fascino della narrazione sta nell'indagine, nel racconto di quella curiosità ed emozione che abbiamo vissuto tutti noi appassionati di un musicista conosciuto (ed amato) sui dischi, quando abbiamo infine la fortuna di essere testimoni del suo show.
Un libro da fan per fan, perché dei numerosissimi concerti visti da Vites l'autore tiene un accurato resoconto, con tanto di scaletta e di distinta dei musicisti. Io ho apprezzato particolarmente le testimonianze dei musicisti raccolte da Vites, e sopra tutte quella conclusiva di Steve Wynn (leader dei Dream Syndicate e figura chiave del Paisley Underground), un fan disincantato che su Dylan trovo la pensi in modo affine al mio. Mi piacerebbe riportare qui le sue parole ma non farei un buon servizio a Vites, che il libro lo deve anche vendere. Compratelo, leggetelo e saprete. Pacini editore, 205 pagine, 18 euro.
P.S.: mi auguro che Paolo Vites insista nella direzione del racconto della sua esperienza rock, perché lo sa fare davvero bene. Che ci faccia ascoltare la sua testimonianza anche sugli altri musicisti, e che lo faccia per esteso, senza timore di annoiarci, perché nella sua esperienza ci riconosciamo in tanti appassionati di rock in Italia.