· un testo inedito di Nadiella* Campana in esclusiva per Uh ·
L’immagine si scambia con un gesto di stupenda prensilità nei confronti di chi guarda. Se nella sequenza del testo letterario la visione erotica si frammenta in un rapporto significante/referente inflessibilmente sdoppiato fino allo svanire di ogni appiglio con un esperire sensibile, il percorso del film rende estremamente rischiosa tale neutralizzazione. Il cinema sembra allora sfidare la formula illuministica dell’impossibilità delle scienze di rinchiudere la natura nelle categorie organizzate di sapere. La co-occorrenza di un complesso afflusso di funzioni metalinguistiche (l’immagine è nel contempo “estetica”, sonora, tridimensionale, dinamica…) diminuisce progressivamente lo spazio entropico della percezione sfiorando l’illusione di esaurire il vivente in modo totale. Trasgressione erotica e trasgressione filmica tendono ad allacciarsi dal momento che la funzione conativa prende in quest’ultima il sopravvento. Tale constatazione incontra però un esito paradossale. Il complesso delle opere proposte nell’ambito della cinematografia occidentale è sottoposto ad una fondamentale opacità( sexy-movies, blue-movies più o meno hard-core; ma anche Borowczyk, Ferreri, Morissey, Robbe-Grillet) perché straordinariamente opaca è la cognizione e l’esperienza che la nostra cultura ha dell’erotismo. Opaca è la meticolosa e tutta intellettuale ana-tomia di Sade, opaca ogni fede batailliana: secoli di stratificazioni ideologiche hanno consumato la collusione tra eros e desiderio di assoluto. Il corpo ha perduto la sua inclinazione metaforica, bruciando all’interno del suo contorno ogni sineddoche segnalata dalle sue parti. Mentre l’amore si nutre della gelosia di Copernico unico e vero rivale. Il compagno Wladimir strappandoci dall’insonnia e dalle lenzuola riporta la “sostanza d’amore” entro una più illuminante traiettoria. Amor sublime, già non più occidentale, ma signorile, feudale. Nello stesso percorso è inscritto L’empire des sens il film che N.OSHIMA ha girato nel ’76: un impero dei sensi che sarà alla fine un’ordalia dei sensi( dietro c’è L’ordalia delle rose di Mishima?) dove la morte è il limite da toccare, oltrepassare e significare affinché l’amore fiorisca nel dopo. Sarebbe superfluo citare Bataille(“de l’érotisme il est permis de dire qu’il est l’approbation de la vie jusque dans la mort”) se tale raccordo non ci richiamasse una strana e rigorosa pertinenza perché gli strappa ogni “letterarietà”. Un autentico film alla Bataille perché l’eros in Giappone è “naturalmente” alla Bataille. L’interesse riscontrato in questo paese per lo shinju o doppio suicidio è sintomatico della religiosità erotica che tende a consumarsi solo in una dimensione di totalità. La morte è allora scelta RAZIONALMENTE nella consapevolezza che il limite della partecipazione amorosa all’altro non si potrà mai toccare perché assoluto e storia non collimano mai. Scelta della morte come rifiuto della storia e della sua arbitrarietà rapinosa. Ma Sada non muore, sopravvive. Il suo principio fantastico(come creazione attraverso l’invenzione, non “rêverie”, non “femminilità”) protrae infinitamente il possesso dal momento che ha escogitato l’ablazione(non castrazione!) del seme stesso dell’esaltazione del suo compagno nel momento più pieno(all’orgasmo si aggiunge l’elemento cogente dello strangolamento). Quella che sembrerebbe una riduzione drastica della persona al sesso, è in realtà un conseguente effetto del candido rifiuto che Sada opera nei confronti del reale. Rivela a se stessa che l’illusione è perfettamente generante di un amore ulteriore che supera la prova del rimorso e della colpa. Mantenere invece la storia come termine dialettico dell’esperienza(Kichi; lui incontra il corteo armato…) finisce col sottomettersi all’accettazione della morte quale metamorfosi di un desiderio che(parafrasando Roth) amava il piacere con la stessa leggerezza con cui ora ama la sua mestizia(annientamento). In entrambi i casi(suicidio o assorbimento della morte-vita del partner) è sul filo dell’assoluto che si snoda il gioco; la sua dinamica è la Cerimonia: adesione presente-passato, contingente-antenati(la copula col “cadavere della nonna”), comunione in una atemporalità scoperta come sintesi della storia percepita nell’estasi(tranquilla beatitudine che spira dai volti delle stampe erotiche del settecento giapponese). L’Esito del rituale amoroso si concede all’Abisso, rifiutandosi ad ogni esterna iperdeterminazione che minaccia l’Unità o la salva nella sua stanchezza. L’accomplissement dans la tristesse et la lassitude rejoint l’eternité. ·
*Nadiella Campana è Nadia Campana, che, nel 1983, per Feltrinelli, tradusse Le stanze d’alabastro, 27 poesie, contenute, ora, in: Emily Dickinson, Tutte le Poesie, a cura di Marisa Bulgheroni, I Meridiani Mondadori 1997. Nadiella, ora. Nadiella, anche nel 1979, quando la conobbi, era Nadiella per gli amici, Nadiella per le amiche, le compagne di studi a Bologna, Nadiella per i familiari a Cesena. Ed è Nadiella anche all’anagrafe della città della Biblioteca Malatestiana ricordata nei Canti Pisani di Ezra Pound (nel Canto LXXIV, per il “joli quart d’heure” di Lucrezia Borgia). Fui io a chiamarla, Nadiella, NADIA, nel 1979, quella primavera, da quando la conobbi a Milano al Club Turati per un convegno di poeti organizzato da Conte, Viviani e Kemeny . Nadiella si fece così “NADIA” che, quando mi fece un testo per il numero 0 di Uh, rivista di scritture polimateriche, che avevo in animo di fare, lo firmò con il solo nome “NADIA”: le avevo chiesto un testo sul film di Nagisa Oshima che tanto rumore aveva fatto in quel tempo, L’Empire des sens [tit.or.: Ai no corrida, “La corrida dei sensi”], vuoi in virtù dei suoi interessi e della sua competenza, vuoi, perché quando ci conoscemmo, dovetti accompagnarla in questura in via Fatabenefratelli a denunciare la perdita, o il furto, dei suoi documenti avvenuta in un cinema in via Torino. Così si spiega anche l’apparizione nella Stimmung[1] di “Sada”, la protagonista del film ambientato nella Tokyo del 1936, dovuta a quella sequenza, più che a un fotogramma, in cui, per me, c’è il vero incantesimo-punctum del film di Nagisa Oshima. Esattamente a partire, secondo più secondo meno, dal 16° minuto del film. E che dura verosimilmente quanto un atto reale: 66 secondi. Nadia firmò: “Da Lolou Brooks a Sada: il profumo glaciale del Vaso di Pandora”. Uh, nemmeno come numero zero, non uscì. Nadiella Campana, lo seppi almeno due anni dopo il fatto, morì suicida nel 1985; all’anagrafe di Cesena, la data indicata è il 10 giugno. A 19 anni dalla morte, un ciclo lunare di Metone, e a 50 anni dalla nascita, avvenuta l’11 ottobre 1954, ripercorrendo le 27 poesie di Alabaster Chambers di Emily Dickinson, ho sentito finalmente la forza di ricordarla, anche perché non è poi vero che “Solenni vanno gli anni, di sopra, in curva schiera”, come assicura la Dickinson nella 216 del 1861 (“Grand go the Years e – in the Crescent –above them –”), o forse perché ho sentito di “dividere la luce”: – Divide Light if you dare – (cfr. 854) o di forzare la fiamma: Force Flame.
Nadiella aveva tradotto così la prima quartina della 853 :
Quando si abbandona la vita sembra facile separarsi da tutto come quando il giorno lascia andare l’Occidente[2].
“Via Torino”, per il cinema dove perse i documenti, la sua carta d’identità, io l’ho sempre sentita ed è ad Occidente, as when Day lets go Entirely the West, verso Torino, da dove, appunto, venivo senza sapere che avrei visto la claritate con cui Nadiella faceva tremare l’ “âre”.
Chi è questa che ven, ch’ogn’om la mira che fa tremar di claritate l’âre?
Ma questo è Cavalcanti [3]. Oppure è anche Pound, a cui, nel Canto LXXVI, compare all’improvviso “qui nella mia stanza” Ixotta che fu chiamata Primavera, come se fosse Giovanna, la donna di Guido Cavalcanti, che veniva soprannominata “Monna Primavera”[4]. E con quella claritate primaverile, l’estate, her Summer, non avrebbe mai potuto interrompersi:
Twas here my summer paused What ripeness after then To other scene or other soul My sentence had begun.
To winter to remove With winter to abide Go manacle your icicle Against your Tropic Bride
è la 1756 che Nadiella tradusse così:
Qui la mia estate si interruppe. Che maturità dopo ad un’altra scena, un’altra anima… la mia condanna è in atto:
trasferirsi nell’inverno, con l’inverno abitare- vai-incatena il tuo ghiacciolo alla tua sposa tropicale
Sta in questa ragione astronomica delle stagioni, o nelle differenze tra longitudine e latitudine, la temporalità dell’amore. Come scrisse nel 1979 Nadiella, nel testo su L’Empire des sens di Nagisa Oshima: “Mentre l’amore si nutre della gelosia di Copernico unico vero rivale”. Mentre l’amore, l’estate si interruppe. Ma non con la claritate primaverile, con la “scuritate, la qual da Marte vede e fa demora”[5]. And the sun high over horizon hidden in cloud bank / lit saffron the cloud ridge[6]: Pound, Canto LXXVI, quello in cui Monna Primavera gli comparve all’improvviso, “nell’aria vuota di tempo”, nella sua stanza, his chamber. Alabaster? [v.s. gaudio]
[1] V.S.Gaudio, Il tempo ha informazioni banali. La Stimmung con Emily Dickinson, Alabaster Chambers; in memoria di Nadiella Campana:→ http://lastanzadinightingale.blogspot.com/2010/01/collage-digitale-di-federica.html [2] “When One has given up One’s life The parting with the rest Feels easy, as when Day lets go Entirely the West”. [3] Appunto. Cfr. Guido Cavalcanti, Sonetto IV. [4] Cfr. il Canto LXXVI, nei Canti pisani: “Dirce et Ixotta e che fu chiamata Primavera nell’aria vuota di tempo che compaiono all’improvviso qui nella mia stanza”. [5] Cfr. Guido Cavalcanti, Donna mi prega: “In quella parte dove sta memora prendo suo stato, sì formato come diaffan da lome, d’una scuritate la qual da Marte vene e fa demora”. [6] “E il sole alto sull’orizzonte nascosto in un banco di nuvole accendeva di zafferano l’orlo delle nuvole”: nella traduzione di Alfredo Rizzardi, cfr. Canti Pisani, Guanda 1953; Garzanti 1977; Feltrinelli 1980; Corriere della Sera 2004.
·