Molte volte in passato leggevo i miei errori con gli occhi dei giovani: le sconfitte rafforzano la tenacia e proiettano verso il futuro idealizzato con maggior forza.
Oggi, misurate le forze in campo, vorrei arrendermi alle evidenze chiedendo, prima di tutto a me stesso, una accoglienza clemente della resa.
Vorrei, nel mio piccolo mondo, continuare con gli autoctoni a parlare degli uomini che mi hanno ispirato, ben comprendendo che vivono solo nella mia memoria e che oggi non sono più.
Non sono in ritardo, non ho perso il treno: sono sotto la pensilina di una vecchia stazione dove i treni non passano più”.
* Questo è il testo di una email arrivata poco fa, a commento del mio post di oggi pomeriggio. La confessione poetica di un contadino di Isera, un coltivatore di Marzemino.