Un viaggio vintage, il tempo dell’Interrail

Creato il 21 febbraio 2015 da Patrickc

Un post personale, seguendo l’hashtag #UnViaggioVintage. Gli anni dell’Interrail e la scoperta del viaggio in solitaria. Perché è bellissimo in due, specie quando è con una persona importante. Ma viaggiare soli è un’esperienza a sé, completamente diversa.

Difficile diventare adulti se non si fa un viaggio da soli. È un modo per superare la paura dell’altro e anche di se stessi, in cui ci si trova a fronteggiare la nostalgia, si arriva alla riscoperta delle radici.

Finché non fai un viaggio da solo non impari a rapportarti con gli altri: chi si presenta da solo è più inerme, ma viene anche accolto meglio dalle persone che si incontrano.

(Paolo Rumiz, dall’intervista sul blog di Alberto Mucignat)

In questi giorni fra i blog gira l’hashtag #UnViaggioVintage. Ci sono foto su pellicola arrossate dal tempo, a volte ingenue o sbagliate, almeno viste con gli occhi di oggi,  troppo abituati alla nitidezza iperrealistica donata da Lightroom e Photoshop. Sono foto spesso leggermente sbiadite dalla scansione, un po’ come la memoria prende contorni sfumati. Io le guardo e provo nostalgia perché mi fanno pensare ad alcuni dei momenti più belli ed emozionanti della mia vita. Ripenso a quando provai per la prima l’emozione del viaggio da solo. E’ strano, perché tutto partì da un viaggio di gruppo.

Il viaggio col biglietto Interrail

Se ripenso ai viaggi più belli e intensi della mia vita, a momenti di assoluta spensieratezza ripenso a un biglietto e a una ferrovia, a un gruppo di amici. L’interrail significava libertà assoluta, non sapere dove si sarebbe dormito il giorno dopo, significava che la ferrovia ci avrebbe potuto portare ovunque. L’anno prima eravamo partiti in cinque. E fra discussioni, divisioni e momenti esaltanti eravamo arrivati fino alle Lofoten, in Norvegia. Avevamo toccato otto capitali europee in otto giorni e ci eravamo fermati sui confini dell’Europa: il circolo polare artico a nord e l’Atlantico sulle coste occidentali dell’Irlanda. Un viaggio via terra così ti dà idea delle distanze, di cosa è l’Europa, della frequenza incredibile con cui cambiano Paesi, culture, lingue. Un viaggio indimenticabile. Ma ci eravamo persi per strada. Eravamo tornati a gruppi, ormai stanchi di stare assieme. Libertà significava anche questo.

L’anno dopo, era il 2002, ripartii con due di quegli amici. La destinazione era la Scozia, ma tutto andò presto a rotoli. La pioggia, le discussioni, la febbre che aveva preso uno dei compagni gettarono subito una cappa di malinconia sul viaggio, fin dall’arrivo a Inverness. Forse fu anche colpa mia: mi avevano fatto decidere troppe cose e io mi ero allargato. Forse era tutto troppo ‘tagliato’ su di me. Arrivammo però alle Orcadi, poi all’isola di Skye. Ci mettemmo pochi giorni: non avevo ancora imparato a rallentare. E fu lì, fra i panorami più belli e grandiosi, che gli altri due compagni di viaggio, sempre più malinconici, cominciarono a parlare di ritorno, dopo appena 10-12 giorni. Nemmeno a metà del viaggio.

L’isola di Skye (foto di Patrick Colgan, 2002)

La meravigliosa Baia di Skaill, isole Orcadi, Scozia (foto di Patrick Colgan, 2002)

Le scogliere dell’isola di Hoy, Orcadi Vignettatura grazie a una macchina malfunzionante I colori erano veramente brillanti ma qui c’è stata un po’ di saturazione in stampa (foto di Patrick Colgan, 2002)

L’Old man of Storr, isola di Skye (foto di Patrick Colgan, 2002)

Non cercai di trattenerli. C’è una sensazione, a volte, che ci dice che siamo nel posto sbagliato, che dovremmo essere da tutt’altra parte. Se dura più di una sera, al massimo un paio di giorni, significa che è ora di tornare. E’ una sensazione netta, definita, che tanti hanno provato in viaggio. Io non la provavo e per quello decisi di restare. Ci separammo a Edimburgo. Io andai verso Holyhead, in Galles, da dove mi imbarcai per l’Irlanda.

Andai a visitare i miei parenti in Irlanda Eccomi con zio e cugino, tre Patrick Colgan assieme (ci distingue il secondo nome!)

La scoperta del viaggio in solitaria

Per me essere improvvisamente solo fu una rivelazione. La cappa di malinconia che gravava su quel viaggio e che cominciava a contagiarmi era sparita nello stesso momento in cui avevo messo piede sul traghetto. Non dovevo più rendere conto a nessuno, i tempi erano soltanto i miei e potevo adattarmi al mio passo. Mi sentivo completamente immerso nel nuovo mondo che era intorno a me, senza filtri, senza nessuno a cui potermi rivolgere in italiano. L’uomo è sociale e tende a cercare di comunicare e condividere. E per questo ero totalmente aperto all’incontro con le altre persone. Parlavo in treno con sconosciuti, condividevo una birra con altri viaggiatori con la leggerezza di poterli salutare poco dopo e ripartire, ognuno per la sua strada.Era anche spaventoso, a volte, più spesso esaltante. I miei pensieri potevano prendere le strade che preferivano, senza interruzioni. Il viaggio da soli è come un flusso di coscienza.

Paul Theroux è sempre molto netto, quasi tranchant (ed è quello che molti lettori non amano dei suoi lavori), ma capisco cosa intende quando scrive

“Il viaggio è, al suo meglio, un’impresa solitaria: per vedere, esaminare, giudicare devi essere da solo e senza pesi. Le altre persone ti possono fuorviare, affollano le tue impressioni nel girovagare con le loro (…). E’ difficile vedere chiaramente o correttamente in compagnia di altre persone. Hai bisogno della lucidità della solitudine per cogliere quella visione che, per quanto banale, nel tuo stato mentale, ti sembra speciale e degna d’interesse” (Paul Theroux – traduzione mia – da ‘the Tao of travel‘ e The old patagonian Express)

Mi ero accorto che era tutto diverso, ora. Fu per quello che decisi di tornare negli stessi luoghi dove eravamo stati l’anno prima in gruppo: volevo vederli con nuovi occhi. Mi imbarcai per le isole Aran. E finalmente potevo perdere tempo, sedermi quanto volevo in riva al mare. Le isole brillavano di una luce differente, ma non erano cambiate: ero io a essere diverso.

Guardavo l’orizzonte e le sfumature di blu che si confondevano fra mare e cielo e pensavo che non avrei più smesso di viaggiare da solo. Scattai una foto dell’orizzonte. Non so perché, ma c’è spesso una foto che mi ricorda i momenti importanti. Una foto di quell’istante preciso. Forse ricordo quei momenti perché ho fatto la foto. O forse l’ho scattata proprio perché quel momento era speciale. Non lo so. Quella foto però per me è ancora importante, è il momento in cui capii che mi piaceva viaggiare. Ed è un caso, o forse no, ma ora è la testata del mio blog.

Inisheere (o Inis Oirr), isole Aran, Irlanda (foto di Patrick Colgan, 2002)

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