UNA BLOGGER ITALIANA A PARIGI
Breve introduzione fatta in Giapponese (che coraggio, eh!):
Buonasera,
Mi chiamo Francesca, ma tutti mi chiamano Zazie.
Mi dispiace di non poter tenere questa piccola conferenza in Giapponese, anche se amo moltissimo la vostra lingua e l’ho studiata quando ero giovane.
Grazie della comprensione!
Vorrei cominciare dall’inizio, a raccontare questa storia, dal mio primo ricordo cinematografico.
Sono nata e cresciuta in un piccolo paese in provincia di Milano, dove esistevano solo due cinema, quello parrocchiale e quello dove non si poteva andare, perché considerato scandaloso. E non perché ci proiettassero film vietati ai minori, ma semplicemente perché si proiettavano film di tutti i tipi, e non solo quelli considerati moralmente irreprensibili.
Purtroppo la mia famiglia era molto per bene, e quindi io potevo frequentare solo il cinema parrocchiale. Dovevo avere sì e no cinque anni quando i miei genitori mi hanno portato a vedere Little Women (Piccole Donne), il film del 1949 di Mervyn LeRoy.
Di quella prima visione, ricordo soprattutto di quanto mi stesse antipatica la piccola Elizabeth Taylor nel ruolo di Amy e di quanto amassi (un classico di tutte le bambine) June Allyson in quello di Jo.
Amy (Elizabeth Taylor) and Jo (June Allyson)
Per quella bambina che voleva scappare, crescendo, le cose non sono cambiate. Anzi, più diventavo grande e più voglia avevo di scoprire mondi esotici e lontani, e il cinema mi veniva sempre in aiuto.Ovviamente, grazie al fatto di essere diventata grande, potevo frequentare tutti i cinema che volevo, soprattutto quelli d’arte e d’essai, di Milano. Ed è stato in un cinema di Milano che ho visto per la prima volta un film francese intitolato Hiroshima Mon Amour, di Alain Resnais, del 1959. Quelle immagini in bianco e nero, la storia d’amore tra un’attrice francese e un architetto giapponese, la città un tempo devastata dalla bomba atomica che ora faceva da sfondo ad un momento felice, pur intriso di ricordi legati alla guerra, mi hanno segnato per sempre. A poco a poco, ho iniziato ad interessarmi al vostro paese, alla sua cultura, alla sua letteratura, al suo cinema, alla sua storia, fino a decidere di studiare la vostra lingua. In un certo senso, se oggi mi trovo qui a fare questa piccola conferenza davanti a voi, lo devo proprio a questo magnifico film.
Lei (Emmanuelle Riva) e Lui (Eiji Okada)
Con il passare degli anni, la mia passione per il cinema non solo non è diminuita, ma - se possibile - è addirittura aumentata. E mi sono resa conto di una cosa, che la gioia più grande per me era quella di raccontare e far scoprire a chi mi circondava i film che amavo.Per questa ragione, più o meno quando avevo 30 anni, ho deciso di creare un piccolo cineclub. Domestico, per così dire, perché la sua sede era proprio il mio appartamento. All’epoca, vivevo in una città di mare del nord Italia, Genova, e non avevo certo una grande casa. E neppure un grande schermo, se per questo. Anzi, lo schermo della mia TV era piccolissimo. Eppure, per più di cinque anni, una volta al mese, un gruppo di amici si è ritrovato nel mio cineclub a vedere film a dir poco bizzarri. Prima della proiezione io facevo una breve presentazione della pellicola, e dopo il film seguiva un dibattito (a volte molto acceso). Negli anni, ho proiettato davvero di tutto: film francesi di 3 ore e 40 minuti, film italiani sconosciuti e dimenticati degli anni ‘50, film del Free Cinema inglese degli anni ‘60, e un anno, addirittura, tutta la prima stagione di una serie TV che mi faceva impazzire: Six Feet Under di Alan Ball.
Anzi, più il film era strano e difficile, più loro sembravano apprezzarlo.
L’idea del cineclub è stata una delle migliori idee che io abbia mai avuto, e mi ha definitivamente convinto di quanto fosse importante, per me, condividere con gli altri il mio amore per il cinema.
Al momento di sceglierne il nome, ho pensato ad un personaggio cinematografico (e prima ancora letterario) per il quale ho sempre provato una grande simpatia, quello della piccola Zazie di Zazie dans le métro. La pestifera ragazzina di campagna dai capelli corti e l’aria insolente che, arrivata a Parigi a trovare lo zio, sogna di fare un giro in metropolitana ma non ci riesce mai. Nata dalla penna di Raymond Queneau, Zazie e le sue avventure parigine sono state portate sullo schermo dal regista Louis Malle nel 1960. Un film un po’ surreale, pieno di vita e di colori, un’esplosione di gioia ed allegria a cui è difficile resistere.
Eccone alcuni esempi, che ho pensato potrebbero piacervi, e che vi possono dare un’idea dei film che programmavo:
Lo ammetto: avevo sempre sognato di andare a vivere lì.
Per una persona che adora i film, Parigi è come per Pinocchio il Paese dei Balocchi. Ci sono più sale cinematografiche per metro quadro che in qualsiasi altro luogo del mondo, e si può vedere ogni tipo di film: prime visioni, vecchie pellicole, rassegne di ogni sorta, retrospettive complete di autori francesi e stranieri, incontri con i registi, insomma, Parigi è uno scrigno dai tesori infiniti. Posso dire con franchezza che i primi anni, e a volte ancora oggi, ho sofferto di una specie di stress da troppo cinema, ovvero: la scelta è talmente ampia che si fa fatica a stare dietro a tutto, ad approfittare di ogni occasione che la città offre.
Nell’entusiasmo dei miei primi tempi a Parigi, ho un po’ dimenticato l’attività di divulgazione che mi stava tanto a cuore: troppi film da vedere per trovare il tempo di fermarsi e ricreare uno spazio-cineclub, senza contare che la taglia di una città come Parigi non è certo la stessa di Genova. Gli spostamenti diventano più complicati, la vita delle persone ha ritmi più frenetici, e la scelta di visioni a disposizione è tale che certo non si sente la mancanza di una nuova sala. Peccato, però, perché mai come in quel momento avrei avuto così tante cose da raccontare e così tanti entusiasmi da condividere.
Un giorno che mi stavo lamentando di questa situazione con mio fratello, lui mi ha suggerito l’idea di scrivere un blog, uno spazio virtuale in cui annotare tutto il cinema che Parigi mi offriva. Detto fatto, il 21 Settembre 2009, ho scritto e messo in linea il mio primo post:
Quando mi sono messa a pensare ad un nome per il blog, mi è venuto spontaneo recuperare l’esperienza genovese e dedicarlo ancora una volta al personaggio di Zazie. E’ così che è nato Le Blog de Zazie, il cui sottotitolo, in francese, recita: Chroniques cinéphiles d’une Italienne à Paris (cronache cinefile di un’Italiana a Parigi).
Dovendo scegliere, oltre che un nome, un’immagine con cui aprire la mia pagina, ho avuto l’idea di utilizzare un’illustrazione che un amico artista (il québecois Pascal Blanchet) aveva fatto qualche tempo prima. Pur non conoscendomi di persona, ma soltanto attraverso Facebook, Pascal un giorno aveva fatto un mio ritratto che aveva concepito – secondo le sue stesse parole - come un poster cinematografico. Ovviamente la cosa mi aveva reso particolarmente felice, e quando gli ho chiesto se potevo utilizzarla per il blog e lui mi ha dato l’ok, lo sono stata ancora di più. Eccola qui:
Ma che cosa vuol dire, esattamente, scrivere un blog?
Quando si comincia, si ha davanti una pagina vuota da riempire, ed infinite possibilità. Ai miei inizi, l’unica cosa di cui ero certa era che il solo argomento di cui volevo scrivere fosse il cinema, ma allo stesso tempo, non volevo limitarmi a pubblicare semplici recensioni degli ultimi film visti. Dopo così tanti anni di amore per lo schermo e per il buio delle sale, il cinema è per me diventato molto più di un passatempo: è il prisma attraverso cui filtro la realtà che mi circonda, il codice segreto con cui la leggo e la interpreto. Ho quindi trovato il modo, scrivendo, di parlare di tutto quello che mi sta veramente a cuore: ho scritto di film che ho amato o odiato appassionatamente, di registi che mi sembravano troppo dimenticati, di film che giudicavo ingiustamente sottovalutati, di attori incontrati, di sale cinematografiche visitate in ogni parte del mondo, di scoperte che mi hanno riempito di entusiasmo, e di come avvenimenti comuni o quotidiani mi riportassero sempre a scene di film. Gran parte di quello che ho vissuto è passato attraverso il blog, e sono io la prima a stupirmi di quante cose abbia potuto raccontare nel corso di questi anni.
Ad esempio, quando sono arrivata a Parigi, il cinema ha subito fatto capolino, anche nella scelta del posto in cui vivere. La mia zona preferita della città era Montmartre, ovviamente per ragioni cinematografiche: la tomba del mio regista preferito di tutti i tempi, François Truffaut, si trova nel cimitero di Montmartre:
Parigi, in questo senso, è una vera miniera d’oro.
Ad ogni angolo di strada, può capitare di imbattersi nel “tournage” di un film. La più memorabile di queste avventure, a me, è successa un paio d’anni fa, quando Woody Allen stava girando in città il suo film Midnight in Paris.
Owen Wilson, Carla Bruni Sarkozy e Woody Allen
Woody Allen e Carla Bruni Sarzoky
L’unico grande dispiacere che ho avuto è stato quando, andando a vedere il film al cinema, mi sono resa conto che la scena che avevo visto girare era stata tagliata!Ma immagino che non si possa avere tutto, dalla vita…
Ho una storia ancora più incredibile da raccontare, a questo proposito: un giorno di qualche anno fa, mi sono trovata nella casella della posta la lettera di una compagnia di produzione cinematografica nella quale si avvertivano gli abitanti della zona che di lì a poche settimane sarebbe iniziato il tournage di un film proprio nella nostra via. Si scusavano anticipatamente del disagio che questo avrebbe creato e raccontavano a sommi capi la trama della pellicola. Il film in questione si intitola La Rafle, della regista Rose Bosch, e parla di un episodio particolarmente drammatico della storia francese: la retata di Vel d’Hiv. All’alba del 16 Luglio 1942, nel periodo in cui Parigi era occupata dai nazisti, la polizia francese ha arrestato nelle loro case tredicimila ebrei, o presunti ebrei, di cui quattromila e cinquecento bambini, e li ha lasciati ammassati in condizioni disumane per qualche giorno nel Vélodrome d’Hiver per poi deportarli nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Quasi nessuno di loro è sopravvissuto. La maggior parte degli ebrei parigini viveva a Montmartre, ed è per questa ragione, e per la bellezza della corte interna di un palazzo pochi numeri più in là del mio, che avevano deciso di girare il film proprio nella nostra via. La lettera era arrivata con largo anticipato, ed io mi ero quasi dimenticata di averla ricevuta, quando un giorno del Maggio 2009, rientrando dal lavoro, ho visto la strada in cui vivevo trasformata da semplice, comune via della mia vita quotidiana, in un set cinematografico. Come per magia, dal mattino alla sera, mi sono ritrovata in una strada degli anni ‘40. C’era un negozio che vendeva carbone, uno specializzato in pavimenti in linoleum, un ebanista, un atelier che riparava biciclette, un hotel, una rivendita di vini e liquori. Tutte cose che nella realtà non esistevano e che invece adesso erano lì sotto i miei occhi, più reali che mai. Come sul set di Woody Allen, anche qui c’erano grandi luci, macchinari e tanti tecnici tutt’intorno. Per un attimo, ho anche avuto paura di non riuscire a raggiungere il portone di casa. Ho dovuto spiegare a qualcuno della troupe che vivevo al numero 44 e allora mi hanno fatto passare. La mia casa era esattamente sul limitare del set cinematografico: avevano costruito una lunga parete in legno che divideva il set dal resto della strada, e a ridosso di questa parete avevano messo dei tavoli che servivano da piccola mensa. Giorno dopo giorno, ho iniziato a farci l’abitudine: le persone del film mi riconoscevano, e urlavano agli altri: Fate passare, la signora abita qui! Qualche volta trovavo soldati in uniforme che mangiavano una zuppa fuori dal mio portone, con i fucili a tracolla, e le svastiche sulla giacca, qualche volta c’erano macchine e autobus d’epoca che facevano manovra lungo la strada. Era bellissimo e speciale, e io ero talmente felice di vivere negli anni ’40 che alla fine mi sembrava la cosa più normale del mondo. Il giorno in cui, com’era iniziato, tutto questo è sparito, dal mattino alla sera, lo confesso, è stato un trauma. All’improvviso, la mia strada era tornata ad essere la solita, moderna strada. Niente più soldati, niente più hotel, o ebanista, niente più set, né finzione. Una tristezza immensa. Il cinema era sparito, la vita vera aveva preso il sopravvento. Per mesi, non so come, ha resistito una delle vecchie insegne: Bois et Charbon, Legno e Carbone, come se ce l’avessero lasciata in regalo, in ricordo di quei bellissimi momenti in cui la vita era un film! Come non raccontare questa storia nel mio blog?
Pietro Marcello (Il Regista) e Zazie (La Blogger)
E un blog serve anche a ricordarli, gli amici. Quelli che non abbiamo mai conosciuto nella realtà, ma che abbiamo imparato ad amare grazie al cinema, dietro o davanti la macchina da presa. Purtroppo in questi ultimi anni ho perso molti di loro, e a ciascuno ho dedicato un ricordo, perché credo nell’importanza della memoria cinematografica ed umana. Ho quindi scritto di Eric RohmerUn giorno ero a Los Angeles per l’inaugurazione di un museo progettato dallo studio di architettura per cui lavoro e avevo scoperto, nella lista degli invitati, il nome di un attore che amo molto, l’americano James Franco. Di solito, in questo genere di serate, è molto facile incontrare e parlare con le persone al momento dei cocktail. La gente si aggira per le stanze chiacchierando e sorseggiando champagne, in un’atmosfera rilassata e mondana, che invita a socializzare. Nel corso della cena, invece, tutto diventa più formale: i posti sono assegnati, ci si ritrova bloccati accanto a perfetti sconosciuti, costretti a fare conversazione su argomenti noiosi e ininteressanti. Dato che James Franco nel corso dell’aperitivo non si era visto, mi ero scherzosamente lamentata di questa mancanza con la collega del museo responsabile dell’avvenimento. Lei mi aveva detto: “Ti assicuro che arriverà, me lo ha confermato”. E io, di rimando: “Sì, ma sarà troppo tardi, perché una volta seduti al tavolo non si potrà più conoscere nessuno”. “Ti prometto che te lo porto al tavolo, se arriva”, erano state le sue ultime parole, che io però avevo interpretato come una sorta di scherzo.
Avevo già dimenticato il nostro dialogo quando, seduta al tavolo, ho visto arrivare la signora in questione seguita dal fotografo del museo e da qualcuno che non riuscivo a vedere. Quel qualcuno era proprio James Franco. Si è avvicinato a me (mentre io cercavo di mandare giù in un sol boccone il gamberetto che mi ero appena portata alla bocca) e dandomi la mano mi ha detto: “La ringrazio per questa foto che sta per fare con me!”. In effetti, sotto lo sguardo stupito degli altri commensali, abbiamo fatto una foto insieme e abbiamo anche chiacchierato per un po’: di arte, film, Los Angeles, Parigi, e ho persino avuto la faccia tosta di dargli il biglietto da visita del mio blog. Ancora oggi, non so cosa la mia collega del museo gli abbia detto per riuscire a convincerlo a farmi questo regalo, ma non importa, a volte i sogni si realizzano, e che si realizzino nella città dei sogni, tutto sommato, ha una sua logica. Ecco qui, a testimonianza dei fatti, la famosa foto in questione:
L’altro avvenimento davvero straordinario a cui ho assistito, sempre grazie al mio lavoro, è stata la Notte degli Oscar 2013, lo scorso Febbraio a Los Angeles. Inutile negarlo, per il mio blog è stato un piccolo trionfo, e ho cercato di sfruttare l’occasione fino in fondo. Ne sono usciti 5 lunghi post in cui racconto le mie avventure a Hollywood: dalla disastrosa pedicure del pre-avvenimento al viaggio per arrivare al teatro, dalle prime impressioni sul red-carpet allo svolgimento della cerimonia, sino ad arrivare al resoconto delle feste dopo-Oscar, il Governors Ball e il Vanity Fair Party:
E tuttavia, poiché la vita delle bloggers è piena di sorprese, quest’anno ho potuto consegnare realmente uno dei miei Zazie D’Or, quello del miglior attore. A Febbraio, infatti, quando sono stata alla Notte degli Oscar, ho incrociato nei corridoi del teatro in cui si svolgeva la cerimonia l’attore danese Mads Mikkelsen, a cui avevo assegnato il premio per la sua interpretazione nel film Jagten/Il Sospetto di Thomas Vinterberg. Non chiedetemi come io abbia trovato il coraggio di fermarlo, parlargli del mio blog, e del premio, ma è proprio andata così. Alla sua domanda: “E in che cosa consiste questo Zazie d’Or?”, io, in un momento di (spero) momentanea follia, mi sono avvicinata a lui, l’ho abbracciato e l’ho baciato. Anche se stupito, lui è stato così simpatico da dirmi: “Grazie, il premio è molto carino”. E per sua fortuna non aveva preso il Man of Life Award, altrimenti non avrebbe avuto scampo, il poveretto!
E’ interessante anche cercare di capire i gusti, dei miei lettori. La piattaforma del mio blog prevede una rubrica dove vengono indicati i cinque post più letti in assoluto, da quando ho creato il blog ad oggi. Con mia grande, grandissima sorpresa, il post più letto di tutti questi anni è un testo che io consideravo, diciamo così, “minore”. Su un tema che mi sta molto a cuore, questo è vero, ma che immaginavo un po’ irrilevante per tutti gli altri. Anni fa la Cinémathèque Française ha organizzato una mostra dal titolo: Brunes/Blondes, Bionde/Brune, dedicata alle attrici e alle loro chiome.
Che posso dire? I miei lettori sono addirittura più avanti di quanto avessi mai potuto sperare.
Da sinistra a destra e dall'alto al basso:
Jacqueline Bisset
Winona Ryder
Mia Wasikowska
Zazie
Isabella Rossellini
Emma Watson
Audrey Hepburn
Emma Thompson
Shirley MacLaine
Charlize Theron
Judy Dench
Audrey Tautou
Leslie Caron
Katherine Hepburn
Natalie Portman
Ecco, se un giorno qualcuno dovesse chiedermi: perché hai scritto un blog? Perché hai passato serate intere, stanca dopo il lavoro, a metterti lì e pensare a cosa dire di un film e trovare le parole giuste per dirlo? La risposta sarebbe questa: per far venire voglia alla gente di uscire di casa ed andare a sedersi in una sala buia, insieme ad altre persone, ad aspettare che il film cominci. Per stare lì nell’attesa che lo schermo si riempia di immagini, di suoni, voci, musica, e di tutta quella magia di cui il cinema è capace. Non conosco sensazione più bella di questa, nella vita.
Che posso dirvi?
Le piccole donne crescono, ma forse non cambiano mai.
Jean Seberg
Zazie, Tokyo - 28 Ottobre 2013