La visione del futuro dipinta dal filosofo non è delle più rosee, o meglio, le certezze che appartenevano ai nostri padri non possono più essere date per scontate. Con la globalizzazione, sostiene Bauman, avviene una specie di divorzio tra potere e politica: è diffuso un senso di «incertezza endemica», in quanto non sappiamo più cosa aspettarci dal domani, non sappiamo come reagire alle conseguenze negative di certi eventi. Bauman definisce questo processo “umiliazione”, nel senso che l'individuo si sente umiliato dal fatto di non comprendere e di essere, pertanto, incapace di reagire a molti dei fenomeni di globalizzazione che lo circondano. L'educazione sembra aver smarrito il suo ruolo: si sono verificati dei mutamenti, condizionati soprattutto da fattori economici. Oggi, l'accesso alla cultura è prerogativa di pochi e, secondo Riccardo Mazzeo, ci sono tre ordini di fattori in cui l'educazione si dimostra lacunosa. In primo luogo, mancano le opportunità: egli menziona una passata «modernità solida» (per utilizzare un lessico baumaniano), ovvero la sicurezza, quasi matematica, di quanti studiavano di accedere a un posto di lavoro in linea con le proprie competenze. Invece, possedere una laurea, oggi, non è necessariamente sinonimo di adeguata occupazione. In secondo luogo, esiste un'ineguaglianza di prospettive per gli studenti: in passato esisteva una classe media i cui figli, oggi, sono precari. Sono i «diamanti grezzi» della nostra società: il termine è coniato dallo stesso Bauman, che sostiene che in ogni cultura i talenti (così come le inabilità) sono più o meno distribuiti nella popolazione. Ogni nazione dovrebbe investire nella scoperta di nuovi talenti, offrire quelle opportunità che molti Paesi occidentali oggi non offrono: per questo motivo, ai giovani non è più garantito il diritto di assurgere a posti di prestigio, e Bauman definisce tale fenomeno «il problema politico d'iniquità d'accesso». Terzo fattore che contribuisce a sminuire il valore dell'educazione moderna è la crisi della meritocrazia: negli anni dei welfare states, quindi nell'immediato dopoguerra, esistevano delle disuguaglianze di natura sociale, difficili da sconfiggere. Tuttavia, con le giuste capacità e buona volontà, era possibile tentare la scalata della scala sociale. A riguardo, Bauman sottolinea che al vertice di questa piramide non c'è posto per tutti: i ruoli ben retribuiti e soddisfacenti da un punto di vista professionale sono pochi, ambìti, tuttavia non impossibili da ricoprire. La nostra è la prima generazione in cui il 50% dei laureati non accede al lavoro che gli compete e la conseguenza è, nel peggiore dei casi, la disoccupazione, o l'accesso ai cosiddetti rubbish jobs.
Cosa comporta quanto appena detto? La perdita d'attrattiva dell'educazione: oggi studiare non è più considerato necessario per ottenere successo a livello lavorativo. È in questo contesto che s'inserisce il discorso sulla diaspora dei giovani. Per la verità, Bauman ha portato la discussione a un livello molto più ampio e complesso: vengono paragonati la migrazione e la diaspora. Lo spostamento in una nazione straniera, oggi, non può più avvenire per assimilazione. Cosa significa? Significa che l'immigrato che un tempo veniva anche nel nostro Paese era accettato a patto che imparasse la nostra lingua, si conformasse alle nostre abitudini, usi e costumi, insomma, che diventasse uno di noi. Al contrario, oggi i popoli hanno l'esigenza di mantenere la loro identità culturale, religiosa e linguistica. Nella stessa città di Londra coesistono settanta diverse diaspore, che hanno trovato il modo di convivere nella stessa città. Oggi non si può più ragionare in termini assimilatori, ma uscire – fisicamente e mentalmente – dal proprio villaggio e trovare un'alternativa valida all'assimilazione. La migrazione, per Bauman, è un fenomeno strettamente legato alla modernità: uno degli effetti negativi di quest'ultima è il rendere molti individui superflui nella propria nazione d'origine e, quindi, costringerli a lasciare il proprio Paese alla ricerca di una migliore opportunità. I nostri nonni emigrati hanno imparato un'altra lingua e si sono adattati a un nuovo modo di vivere, invece, ai giorni nostri, è necessario imparare a convivere con la diversità. Bauman cita Richard Sennett, il quale afferma che non esiste una ricetta per realizzare questo obiettivo: tuttavia, ci sono delle linee guida che è possibile seguire per avviare tale percorso. L'unico modo per vivere in pace, secondo Sennett, è quello di combinare gli orizzonti, ossia condividere con lo straniero gli stessi spazi – al lavoro o nella vita privata di tutti i giorni – e il tutto dev'essere fatto senza alcun pregiudizio, ossia senza chiedersi cosa sarebbe meglio dire o fare: senza alcuna regola fissa di comportamento o conversazione è possibile – e qui Bauman riporta il discorso in ambito educativo – ricoprire il ruolo sia d'insegnanti che di discepoli, senza la sola pretesa d'insegnare ma anche, e soprattutto, di ascoltare.
Per quanto riguarda i mezzi di comunicazione, Bauman distingue la vita online da quella offline: è dimostrato che il 50% del nostro tempo lo trascorriamo di fronte a un qualche tipo di schermo, ma che la vita offline possiede delle caratteristiche che la vita online non potrà mai offrire: viene sacrificato molto tempo alla relazione faccia a faccia con gli altri, anche se Bauman sostiene che questo fenomeno è ancora molto controllato in Italia, dove i vincoli famigliari sono ancora molto forti, a differenza di molte nazioni dell'Europa Settentrionale. In realtà, i social network, ovvero le nuove forme di comunicazione, sono solo un modo per perpetrare la solitudine individuale, illudendosi di avere degli amici molti dei quali, in realtà, sono solo virtuali. Per Bauman, i giovani reagiscono alla solitudine o tramite la depressione clinica o con l'aggressività, mentre la reazione all'umiliazione deve spingere a un'unione, un lavoro collettivo (portato avanti anche grazie all'impiego delle nuove tecnologie e i nuovi metodi educativi) volto alla realizzazione di un mondo migliore.
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