Una corona che parla italiano

Creato il 22 ottobre 2014 da Athenae Noctua @AthenaeNoctua
Mentre si tengono a Firenze, presso Palazzo Vecchio, gli Stati Generali della Lingua Italiana nel Mondo, iniziativa promossa dal Ministero degli Esteri e dall'Accademia della Crusca in collaborazione col MIUR e il MIBACT per approfondire le strategie per la diffusione della lingua italiana e fare il punto sullo stato del nostro idioma all'estero, ci troviamo proprio oggi a ricordare l'anniversario di un evento determinante per la conquista di piena dignità da parte della nostra lingua.
 

Logo degli Stati Generali della Lingua Italiana nel Mondo

 Il 22 ottobre 1441, infatti, si svolse a Firenze il Certame Coronario, una gara di poesia in lingua volgare sul tema dell'amicizia promossa da Leon Battista Alberti con il patrocinio della signoria dei Medici. La competizione, che si svolse nella chiesa di Santa Maria del Fiore, prendeva il nome dalla corona d'alloro in argento scelta come premio per il vincitore: essa non fu assegnata, prova che il volgare doveva ancora vincere strenue opposizioni, ma è significativo che, in un'epoca dominata dal latino e dalla ripresa della classicità, si sia affermata una manifestazione così importante di apertura alla lingua del popolo, nel tentativo di offrirle quella dignità letteraria che Dante ricercava fin dall'inizio del Trecento. 

Leon Battista Alberti (1404-1472)

Il Certame Coronario fu una tappa fondamentale nella cosiddetta Questione della lingua e nell'evoluzione della storia dell'italiano. Dante stesso, scrivendo il De vulgari eloquentia, trattato incompiuto in cui, analizzate le varianti regionali della Lingua del sì, si proponeva di trovare un volgare illustre degno di essere il suo fiore all'occhiello, il suo grande pregio. Leon Battsta Alberti rilanciò, dunque, un dibattito che era per lungo tempo caduto nel dimenticatoio, accendendo uno scambio di opinioni che vide i più grandi intellettuali dell'era moderna contrapporsi nella definizione della più elegante forma di lingua italiana.
Nel 1525 Pietro Bembo avrebbe individuato nella prosa di Boccaccio e nel linguaggio poetico di Petrarca i modelli espressivi per i letterati, che da quel momento sarebbero diventati canonici (soprattutto nel caso dell'autore del Canzoniere, che orientò le scelte stilistiche e lessicali di molti suoi successori). Nello stesso anno o poco prima Niccolò Machiavelli, in opposizione a chi, come Baldassar Castiglione, riteneva che la lingua nazionale dovesse essere quella parlata nelle corti, sostenne la necessità di guardare al fiorentino contemporaneo nel Discorso sopra la nostra lingua, trattato pubblicato due secoli dopo la morte dell'autore (1730) e di cui parte della critica mette in dubbio l'attribuzione.

Il primo vocabolario della Crusca

Il XVII secolo assistette allo scontro fra l'Accademia della Crusca, che nel 1612 pubblicò il primo vocabolario, sostenendo un uso linguistico che mediava fra la lingua delle Tre Corone (Dante, Petrarca e Boccaccio) e la consuetudine toscana moderna e gli l'Anticrusca di Paolo Beni, che esaltava invece la forma espressiva consolidatasi nel Cinquecento e poteva contare sull'approvazione di personaggi come Alessandro Tassoni, contrario al primato fiorentino, e di Daniello Bartoli, ostile ad ogni forma di rigorismo grammaticale col suo Il torto e il diritto del non si può (1655).
Fu la scienza a compiere il passo che i letterati non si decidevano a fare: il Dialogo sopra i due massimi sistemi e il Saggiatore di Galileo avrebbero decretato l'assoluta importanza del volgare nel costruire una scienza che potesse davvero, attraverso una comprensione diffusa, farsi veicolo di una nuova immagine del mondo e di una conoscenza libera e democratica.
Sarebbero stati infine i Romantici a riscoprire il genio della lingua legato al genio dei popoli, stabilendo che nessuna regolamentazione o teorizzazione calata dall'alto avrebbero potuto ingabbiare l'espressione viva e mutevole (così, ad esempio, Melchiorre Cesarotti). Nonostante la continua opposizione dei classicisti e soprattutto dei puristi più accaniti, fra cui Antonio Cesari, che trattavano la lingua quasi come un'entità mistica, le congiunture storiche bastarono a riportare all'attenzione del mondo intellettuale l'importanza di una lingua che unificasse, anziché dividere, che parlasse al popolo e non solo agli eruditi: l'unità d'Italia e la preminenza di una figura come quella di Alessandro Manzoni bastarono a restituire piena dignità ad un dibattito che per troppo tempo era stato un vezzo fine a se stesso.  

Alessandro Manzoni (1785-1873)

Manzoni, infatti, non contribuì all'affermazione della lingua italiana a base fiorentina solo con la stesura Quarantana de I promessi sposi, ma anche con i suoi scritti sulla lingua, fra cui spicca la relazione Dell'unità della lingua e dei mezzi per diffonderla (1868), destinata al ministro Broglio allo scopo di documentare l'importanza dell'uso vivo della lingua e la necessità di una capillare politica di diffusione linguistica fortemente connessa all'intervento sociale: prima di fare l'Italia era da fare l'italiano, la lingua comune che avrebbe costituito il collante di un nuovo popolo unito.
In qualche modo, nonostante il lungo protrarsi di questo processo e il fallimento della competizione voluta da Leon Battista Alberti, dobbiamo pensare bene a quel Certame Coronario e ricordare che, senza di esso, forse non sarebbero avvenute le trasformazioni che hanno portato all'affermazione della nostra bellissima lingua.
C.M.

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