Come chiunque abbia lavorato nel lumpen-tourismus (ossia quello dell'ipersfruttamento a conduzione familiare) sa perfettamente, ad ogni boss-dotato-di-sigaro corrisponde invariabilmente una figura mitologica, la vera padrona, quella che manda avanti sul serio la baracca.
Di solito è il boss che grida, vocia e si sbraccia a destra e a manca, ma chi decide e comanda è “sua moglie”.
Nel momento di massimo pathos lavorativo, statene certi, sentirete alzarsi imperiosa la voce del boss che ce l'ha con qualcuno, che impreca contro il mondo creato, che sbuffa fumo dalle narici come fosse un vaporetto.
“Sua moglie” lo guarda in silenzio poi si gira verso di voi, turista-avventore, e vi fa l'occhiolino e un mezzo sorriso. Non sta dicendo “va tutto bene, fidatevi di me”, no.
Sta dicendo “appena si cheta, e voi vi siete spostati dalla visuale, gli cavo l'occhio; questo”. Vi ha semplicemente mostrato in anteprima quale dei due bulbi sacrificherà.
Nel dialetto ancestrale della città balneare, anzi del suo entroterra, esiste un termine un po' forte che però specifica bene di cosa stiamo parlando: la vergara. Mutuata dal vocabolo maschile e traslata di decennio in decennio al femminile, questa parola indica proprio l'antica funzione della società matriarcale: la donna che comanda, il capo indiscusso della comunità contadina.
Ecco, la moglie del capo, nel lumpen-tourismus, è colei che ha in mano tutte, e dico tutte, le leve del potere: in primis, è colei che gestisce il denaro e i rapporti con le banche. A cascata, si capisce, gestisce il resto: i dipendenti, lo spazio, il tempo, le mansioni. Unica eccezione sono i lavori di fatica che sono, munificamente va detto, elargiti agli uomini. Ma anche qui, eccezione dell'eccezione, si son viste vergare ben piantate entrare in una cella frigorifera ed uscirne con un quarto di bue a tracolla come fosse una borsetta di Gucci.
Così, l'altra sera, prima di rientrare a cena, la profe e desian si sono fatti venire la splendida idea di concedersi un semplice aperitivo, un analcolico e qualche nocciolina, niente di più. Lo spazio più adatto a questo scopo, un angolo appartato e fuori mano dello chalet, era stato agghindato per una cena di compleanno e non era quindi disponibile. Non volendo rinunciare, abbiamo ripiegato sul salottino/ingresso dello chalet medesimo. Con un attimo di ritardo, quando ormai ci eravamo seduti, ci siamo accorti che quello spazio doveva essere velocemente pulito e rassettato per accogliere quelli che, di lì a poco, sarebbero arrivati per cenare (ogni chalet che si rispetti è quasi sempre anche ristorante-sul-mare).
La moglie del boss non si è invece distratta: con una certa classe (sic!), malcelata dietro una pettinatura ormai arrivata allo stremo (dopo “una giornata al mare”, come si è schernita lei stessa), ci ha dolcemente redarguito. “Mi raccomando, fate presto: dobbiamo pulire e abbiamo pochissimi minuti prima che arrivino per cena”.
Ora, vabbé che l'aperitivo non è un'impresa titanica ma almeno due sorsi lasciateceli fare.
Dall'altro lato del campo di battaglia, il boss si è reso conto dell'incidente di percorso ed ha, come il ruolo impone, cominciato ad inveire contro “sua moglie”. La quale non ha fatto una piega: lo ha guardato bonaria poi si è girata verso di noi, ancora più dolce di poco prima, e ha spiegato: “eh già, mica lo pulisce lui il pavimento”.
Non abbiamo fatto in tempo ad alzarci per riprendere la via di casa che il vecchietto male in arnese (quello che perennemente lotta con la sabbia sul pavimento di cemento) ha tirato fuori il mocio dal suo secchio-strizzatore ed ha avuto la giusta soddisfazione: continuare a dare il cencio. Ancora e ancora.
Per l'eternità.
La moglie del boss, da lontano, gongolava soddisfatta.