Ho visto spiagge di zucchero e un'acqua di un blu limpidissimo. Ho visto in completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l'olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato "Mister" in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l'Electric Slide.
Comincia così Una cosa divertente che non farò mai più (Minimun Fax) di David Foster Wallace, osannato e rimpianto talento della letteratura americana, che il New York Times ha chiamato un Emile Zola post-millennio e qualcun'altro ha salutato come la mente migliore della sua generazione, aggiungendo paragoni scomodi e tutto sommato non necessari con autori come Thomas Pynchon, Vladimir Nabokov, Jorge Luis Borges.
E allora metto le mani avanti: non sono un grandissimo conoscitore di David Foster Wallace e in genere della più recente letteratura americana, quindi il mio può essere anche l'entusiasmo del neofita. Mi dicono anche che questo libro appartiene al Wallace "minore" (ma cosa vuol dire?) rispetto ad altre sue opere.
Sarà, e sarà anche che per quanto mi riguarda trovo congeniale il reportage narrativo piuttosto che la fiction pura. In ogni caso questo libro me lo tengo stretto come un gioiello.
Sette giorni e sette notti di crociera di lusso nei Caraibi raccontati da un grandissimo. Crociera tutto compreso, ma anche tutto sviscerato, anatomizzato, inchiodato e tagliuzzato da parole affilate come bisturi, da parole sulfuree, irriverenti, grottesche, divertenti, sconsolate, parole che ci aiutano a capire come la nostra civiltà sta proprio affondando - anche in una crociera di lusso.
Parole che allo stesso tempo ci sono preziose come ciambelle per aggrapparsi in mare aperto.
Lettura per riflettere, fosse solo per sviscerare i misteri del Sorriso Professionale. Lettura obbligatoria, e preventiva, per chi accarezza il sogno di una crociera che tutto promette come uno spot lungo una settimana.