Nell’ordine trovo: una confezione di salviette umidificate, quelle che si usano quando sei in giro e tuo figlio riempie il pannolino e non c’è acqua corrente tantomeno un posto dove cambiarlo, tanto che la prima volta che in Italia ne ho visto uno ed ero all’Ikea ho pensato che esagerazione, si vede che non è un’azienda italiana. Poi, da genitore, ho imparato a coglierne l’assenza. Dopo una decina di metri c’è un ciuccio, che all’inizio quando ti cade lo metti in quarantena affogato nell’amuchina quando non lo getti direttamente via e poi dopo un po’ di mesi, quando vedi che malgrado te i bambini crescono lo stesso, gli dai una sciacquata alla fontana e glielo piazzi in bocca, tanto tuo figlio si è fatto gli anticorpi. Il terzo indizio è una scarpina, altrettanto facile da perdere perché quando sei a spasso con il passeggino e tutto il kit di sopravvivenza agli ambienti esterni non sono poche le cose a cui pensare. Per non parlare di quando spingi il pupo tutto orgoglioso della tua creatura e ti squilla il telefono, una chiamata di lavoro e finisce che qualcosa ti cade e non te ne accorgi.
In questo le mamme sono superiori a noi papà, anzi anticipo le vostre obiezioni scrivendo che le mamme sono superiori ai papà in tutto, ma per tornare al nostro caso specifico, queste creature superorganizzatissime intelligenti e multi-tasking che sono le nostre compagne di vita sono davvero impeccabili e quando ci vedono uscire di casa soli con i nostri figli si dilungano in raccomandazioni suscitando il nostro disappunto per la mancanza di fiducia, che poi si conferma mal riposta. Perché a loro non capita mai di dimenticare qualcosa, uscire senza fazzoletti di carta, smarrire golfini o lasciare i libri della Pimpa sul tavolino della gelateria.
Ma questa volta sono io a sbagliarmi, perché chi torna indietro a raccogliere l’involontaria semina è una donna. Ahi ahi ahi, mi vien da dire, mentre mi chino a raccogliere la scarpina per aiutarla in questa fase di redenzione a ritroso. Nel frattempo mia figlia, che mi segue in bici, ora che siamo entrati nel parco accelera per raggiungere le sue amiche e a quel punto, e almeno per le due ore successive, so già che non la vedrò più. Sono finiti i tempi delle spinte all’altalena e delle rincorse sulla giostra, e un po’ invidio la madre distratta che spinge una bimba che probabilmente cammina a malapena. Ora il mio ruolo qui al parco è solo di fornire supporto on demand, le richieste si riducono di settimana in settimana. Ogni tanto do un’occhiata per vedere che tutto fili liscio, che mia figlia sia nei pressi. Ecco, si è già allontanata. Pazienza.
Così mi metto a leggere il libro che ho portato con me, non prima di notare un altro genitore in erba, il papà di un bimbo che seduto poco più in là sta raccogliendo i pezzi per rientrare, mettendoli alla rinfusa nel vano sottostante il passeggino, uno spazio utile come ripostiglio per palette, secchielli, palline e altri ameni divertimenti per la primissima infanzia. Il bimbo gli sale in braccio e insieme si avviano verso l’uscita del parco, il papà ogni tanto saltella e il piccolo ride, oh come ride. Quanta nostalgia, un tempo anche io ero il mezzo di locomozione preferito di mia figlia. Li intravedo infine laggiù nel parcheggio, il papà apre la portiera e sistema il figlio sul portabebè. Poi sale al posto di guida e parte. Ed ecco la morale della storia. Il passeggino con il vano portagiochi traboccante di plastica colorata resta qui, di fronte a me, dimenticato dal padre premuroso e giocherellone per il quale due cose da ricordare sono già troppe.