Una critica di Melancholia di Lars Von Trier: "Perchè ora siamo tutti depressi mentre prima eravamo tutti nevrotici"

Creato il 25 maggio 2014 da Stupefatti

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Melancholia parla di depressione. E' un'opera atroce e coraggiosa sulla depressione nell'età contemporanea, un'ulteriore prova del modus operandi di Lars Von Trier, quel punto di vista secondo cui potrebbe essere forse "il migliore regista vivente". Un modus operandi che è poi simile a quello - chessò - di D.H. Lawrence, di Philip Roth e di pochi altri che conosco, e ovvero: intuire - con sensibilità da poeta - e prendere di petto gli elementi fondamentali nel MondoCheViviamo, elementi che ancora nessuno è riuscito a capire e spiegare per benino, elementi che producono un sacco di domande, e indagarli e scavarli fino in fondo e poi inventare personaggi, ambientazioni, trame, con il solo scopo di portare una tematica - un elemento fondamentale del MondoCheViviamo - fino al suo estremo possibile, con intenti disvelatori e illuministi, per cercare di rappresentare, non dico spiegare, ma cercare di gettare una luce diversa - disvelatoria e illuminista - su cose che intuitivamente sono importantissime ma poi effettivamente sono difficilissime da pensare, concepire, razionalizzare. Cose dentro cui siamo tutti immersi e per questo non le vediamo (1).
Dunque, Melancholia. Il giorno del matrimonio. La sposa giovane, bella e bionda, con lo sposo giovane, bello e biondo. Che la ama e che lei stessa ama. La cerimonia organizzata alla perfezione. Il cognato ricco e prodigo che ha pagato un sacco di soldi perchè tutto sia perfetto. La sorella affettuosa e solerte che cura ogni dettaglio: la sala, l'albergo, la limousine. Tutto perfetto. Non manca niente. Ma piano piano, durante la cerimonia, la sposa comincia ad avere delle assenze, comincia a non voler essere più in questo posto, a non volere essere più in nessun posto in assoluto. Ci sono come dei fili grossi e viscidi, come dei tentacoli , che le si attorcigliano alle gambe. Si sente piano piano sempre più immobile. La sposa verrà inghiottita dalla Depressione e manderà a monte il matrimonio, la cerimonia e tutto quanto.

Il punto non è che lei vuole fuggire dal matrimonio, da quella vita lì, per un'altra vita. No. Il punto forse è che lei vuole fuggire dalla vita in generale - o forse no - forse semplicemente non vuole percorrere più nessuna strada, non vuole fare, non vuole volere. E' come lo spegnimento di un essere umano.E forse la ragione è questa. La giovane bella e bionda - la sposa - ha potuto scegliere quella bella cerimonia nuziale, quel bel sposo, quella bella vita. E in passato è stata liberissima di scegliere un'altro tipo di vita o un'altra ancora, tanti altri tipi di vita tutti completamente differenti l'uno dall'altro. Ha scelto quello sbocco - il matrimonio con fasto - e ora accusa un crollo di volontà e un crollo di energia vitale. E' la liquefazione, il rammollimento, la distruzione. Il matrimonio NON le è stato imposto da nessuno e quindi non ha nessuno con cui prendersela. Non può reagire in maniera nevrotica - accusando strambi sintomi, facendo capricci assurdi, inventandosi disturbi psicosomatici - e nemmeno in modo psicotico - urlando e piangendo, scagliandosi contro quella decisione forzata, quell'orrendo matrimonio che le è stato imposto.No. Non c'è stata nessuna coercizione (nessuno le ha imposto a sposarsi) e quindi nessuna repressione degli istinti. C'è stata la libera scelta - ragionata e digerita - e ora c'è il crollo totale, la Depressione.In questa dinamica psicologica Lars Von Trier NON ha raccontato soltanto una patologia personale, ma qualcosa di più, qualcosa di storico e collettivo. Il personaggio di Melancholia non è un semplice malato di mente (Depressione) come il personaggio di Nymphomaniac non è un semplice malato di mente (Ninfomania). In queste due donne fiammeggia IlMondoCheViviamo.Perchè, detto banalmente, la nostra società occidentale - su spinta del consumismo - va sempre più conformandosi e diventa sempre più una società non-repressiva (2). Tutto il sistema dell'economia di mercato, infatti, spinge ogni singola persona a liberare i propri istinti e a cercare sempre di soddisfare tutti i propri desideri e anzi, tende a creare nuovi desideri - di secondo, terzo e quarto livello eccetera - tutto per alimentare e moltiplicare all'infinito la produzione di merci che è alla base del sistema consumistico. Tutto questo ha bisogno, ovviamente, dalla Più Assoluta Libertà Di Scelta. Questa semplice dinamica economica sta spazzando via tutto un tipo di società (e quindi di umanità) che ha resistito sulla terra per circa duemila anni. Ovvero: la società repressiva, di matrice cristiana, basata su alcuni presupposti religiosi che in un modo o nell'altro producevano repressione degli istinti, forti limiti alla libertà di scelta, coercizioni e imposizioni e conseguente senso di colpa. Il tipo d'uomo prodotto da questa società è il nevrotico. Se poi mettiamo che prima non c'era questa Globalizzazione, non c'erano tutte queste informazioni sul mondo e non c'era questo Divaricamento di Orizzonti, questo Moltiplicarsi di Prospettive, questa immane Complessificazione Mentale della Realtà, possiamo pure dire che nella società repressiva c'era fondamentalmente Un Sistema di Repressione/Conformismo, Un Unico Sistema di Valori da accettare o rifiutare, e tutti i problemi psichici derivavano dall'accettazione o meno di questo Sistema Unico.Ora invece - con la non-repressione e il Divaricamento degli Orizzonti - abbiamo un'infinità di Sistemi di Valori possibili che possiamo liberamente osservare, valutare, scegliere, ripudiare, ri-scegliere ecceteraeccetera. Mai prima d'ora abbiamo avuto una possibilità di scelta così grande. (Possiamo dire: una Libertà così grande?). Ma cosa comporta questa gigantesca facoltà di scegliere? E' sempre positiva? Oppure spesso diventa - pure questa - una coercizione? L'uomo di oggi non è COSTRETTO a scegliere? Costretto a essere LIBERO? Riesce a sopportare IL PESO di questa possibilità di scelta? Riesce a reggere - come Atlante - questo cosmo e macigno di Libertà?E' un problema in più, questo? O forse un problema diverso per la psiche umana, che ha conseguenze e reazioni differenti dal passato? Se prima si reagiva in maniera nevrotica, infatti, che comunque è una maniera attiva e vitale - seppur distorta e patologica - ora il peso dell'ansia davanti a TuttoQuesto è tale che l'individuo ne resta schiacciato. E quindi ecco la Depressione, il Rammollimento, la Liquefazione, la Distruzione.Paradossalmente - ma mica tanto - se sei costretto a scegliere ma non riesci a sopportare questa coercizione, se ne soffri troppo e non riesci a reggerla e nemmeno ad accettarla, allora ti attiverai - ma in modo paradossale - ti attiverai e lotterai contro questa coercizione con tutte le tue forze fino allo sbocco più naturale, ovvero - visto che sei costretto comunque a scegliere e volere qualcosa - allora beh, riesci a ribellarti - ad essere libero! (3) - soltanto volendo il nulla.Questa è la Depressione? Il Nulla? Volere il nulla? Questo è l'abisso sotto i nostri piedi? (4) NOTE1) C'è il rischio che la narrazione diventi un pò troppo fredda e cervellotica? Non c'è il rischio che sembri tutto troppo costruito? Tutto troppo artefatto? Decisamente si. Un modus operandi di questo tipo comporta sicuramente molti rischi e molte possibili cadute nel vuoto. Ma chi narra deve avere ANCHE sensibilità umana e artistica nel raccontare sempre cose sincere, con gusto e grandissima cura nel dettaglio. E ciò non manca a Von Trier. Le sue scene sono così vere e intime che sembra di stare spiando i personaggi.2) Una società non-repressiva che però, per l'essere umano, produce forse più danni mentali di una società repressiva. Almeno in questo momento storico. Da leggere a proposito "Eros e Civiltà" in cui Marcuse vagheggiava una società non-repressiva come paradiso in terra e per carità, Marcuse aveva ragione, nella sua visione di società non-repressiva (ma non consumistica), qua invece la non-repressione degli istinti serve soltanto a soddisfare la mania di auto-ingigantimento del sistema consumistico, e il rischio è che gli individui non-repressi diventano sempre più schiavi di questo sistema consumistico. Quindi, caro Marcuse, altro che Paradiso in Terra. Almeno per ora. 3) Cioè, "ti rendi libero rinunciando alla tua libertà"? Bah. Sono parole, etichette, cavolate che hanno molto poco senso. Una nota di metodo. Forse non sarebbe ora di parlare di Libertà senza farsi condizionare di assolutismi e ideologie e cercare di capire esclusivamente cos'è la libertà in questo o in quest'altra occasione di realtà e - caso per caso - cercare di capire cosa provoca nelle vite umane e nelle menti umane?

3-bis) Ma non può pure essere, però, che questo Attuale Orrore della Libertà non è nient'altro che una fase? Un periodo di transizione? Che forse l'uomo si evolverà veramente - gettandosi dietro le catene della società cristiana repressiva E di quella consumistica non-repressiva - quando sarà capace di sopportare, vivere, affrontare TuttoQuesto? Il superuomo nietzschano, l'oltreuomo, come Colui che non si fa fottere dalla Libertà? Come un Atlante che neanche sente più il peso del suo globo sulle spalle e del suo macigno? (Azzardi).4) Non c'è niente di originale in questo discorso. L'ho in parte copiato da L'Ospite Inquietanti di Umberto Galimberti (2007). Fissiamo i poli concettuali: Repressione/Non-Repressione, Nevrosi/Depressione, Senso di Colpa/Autostima (4-bis). Scrive Galimberti a pag. 62 (è un capitolo che parla di cocaina e droghe eccitanti, ma non importa, spiega benissimo alcune cose di carattere generale): "Le sofferenze dell'anima non sono patologie fisse come quelle del corpo, perchè subiscono l'influenza dell'atmosfera del tempo e il clima che si diffonde. Fu così che, a partire dagli anni settanta, la depressione divenne la forma di sofferenza psichica per eccellenza, che ha liquidato di un colpo solo le forme "nevrotiche" che hanno caratterizzato il Novecento, riducendo di molto le chance della psicanalisi nata e cresciuta come cura delle nevrosi. La nevrosi, infatti, è il conflitto tra il desiderio che vuole infrangere la norma e la norma che tende a inibire il desiderio. Come conflitto, la nevrosi trova il suo spazio espressivo nelle società della disciplina che si alimentano della contrapposizione fra il permesso e il proibito, una macchina che i più adulti fra noi conoscono perchè regolava l'individualità fino a tutti gli anni cinquanta e sessanta. Poi, a partire dal Sessantotto e via via nel corso degli anni successivi, la contrapposizione tra il permesso e il proibito tramonta per far spazio a una contrapposizione ben più lacerante che è quella tra il possibile e l'impossibile. Che significa tutto qusto agli effetti della depressione e quindi della cocaina e degli psicoformaci eccitanti a cui si ricorre come a un rimedio? Significa che nel rapporto tra individui e società la misura dell'individuo ideale non è più data dalla docilità e dall'obbedienza disciplinare, ma dall'iniziativa, dal progetto, dalla motivazione, dai risultati che si è in grado di ottenere nella massima espressione di sè. L'individuo non è più regolato da un ordine esterno, da una conformità alla legge, la cui infrazione genera sensi di colpa (per cui il vissuto di colpevolezza era il nucleo centrale delle forme depressive), ma deve fare appello alle sue risorse interne, alle sue competenze mentali, alle sue prestazioni oggettive, per raggiungere quei risultati a partire dai quali verrà valutato. In questo modo, dagli anni settanta in poi, la depressione ha cambiato radicalmente forma: non più il conflitto nevrotico tra norma e trasgressione, con conseguente senso di colpa, ma, in uno scenario sociale dove non c'è norma perchè tutto è possibile, il nucleo depressivo origina da un senso di insufficienza per ciò che si potrebbe fare e non si è in grado di fare, o non si riesce a fare secondo le attese altrui, a partire dalle quali ciascuno misura il valore di se stesso. Questo mutamento strutturale della depressione, così ben segnalato dal sociologo francese Alain Ehrenberg, ha fatto si che i sintomi classici della depressione, quali la tristezza, il dolore morale, il senso di colpa, passassero in secondo piano rispetto all'ansia, all'insonnia, all'inibizione, in una parola alla fatica di essere se stessi. E questo perchè in una società dove la norma non è più fondata, come in passato, sull'obbedienza, la disciplina interiore ed il senso di colpa, ma sulla responsabilità individuale, sulla capacità di iniziativa, sull'autonomia nelle decisioni e nell'azione, la depressione tende a configurarsi non più come una perdita di gioia di vivere ma come una patologia dell'azione, e il suo asse sintomatologico si sposta dalla tristezza all'inibizione ed alla perdita di iniziativa, in un contesto sociale dove "realizzare iniziative" è assunto come criterio unico e decisivo per misurare e sigillare il valore di una persona. Di qui il ricorso alla cocaina e agli psicofarmaci stimolanti per attutire l'ansia parossistica, oppure la perdita più o meno estesa di iniziativa, l'inibizione all'azione, il senso di fallimento e di scacco, fattori questi che entrano in implacabile collisione con i paradigmi di efficienza e di successo che la società odierna considera essenziali per riconoscere dignità e significanza esistenziale a ciascuno di noi. Del resto già Freud, considerando le richieste che la società esigeva dai singoli individui, a più riprese si chiedeva se alle volte "Non è lecita la diagnosi che alcune civiltà, o epoche civili, e magari tutto il genere umano, sono diventati nevrotici per effetto del loro stesso sforzo di civiltà? (...) Pertanto non provo indignazione quando sento chi, considerate le mete a cui tendono i nostri sforzi verso la civiltà e i mezzi usati per raggiungerle, ritiene che il gioco non valga la candela e che l'esito non possa essere per il singolo altro che intollerabile". Questa intollerabilità, a parere di Freud, era dovuta all'eccesso di regole che governavano le società civili, e ciò consentiva di inscrivere la depressione nel novero delle "nevrosi", dove si registra il conflitto tra norma e trasgressione, con conseguente vissuto di colpevolezza. Oggi le norme limitative non esistono più, per cui ciò che un tempo era proibito è sfumato nel possibile e nel consentito. Per effetto di questo slittamento oggi la depressione non si presenta più come un conflitto e quindi come una "nevrosi", ma come un fallimento nella capacità di spingere a tutto gas il possibile fino al limite dell'impossibile. E quando l'orizzonte di riferimento non è più in ordine a ciò che è permesso ma in ordine a ciò che è possible, la domanda che si pone alle soglie del vissuto depressivo non è più "Ho il diritto di compiere quest'azione?" ma "Sono in grado di compiere quest'azione?". Quel che è saltato nella nostra attuale società è il concetto di limite. E in assenza di un limite, il vissuto soggettivo non può che essere di inadeguatezza, quando non di ansia, e infine di inibizione. Tratti, questi, che entrano in collisione con l'immagine che la società pretende da ciascuno di noi. E la coscienza di questo crudele fallimento sul piano della responsabilità e dell'iniziativa, o anche sul piano del mancato sfruttamento di una possibilità, amplifica immediatamente i confini della sofferenza e dell'inadeguatezza che sono presenti in ogni depressione e che i modelli sociali dominanti rendono ancora più dolorose e talora insanabili". 4-bis) Ci sarebbe poi il discorso sublimazione/de-sublimazione, ma ne scriverò in futuro. 

5) Recensione e riflessione di matrice psichiatrica di Melancholia su HumanTrainer, a firma di Irene Bellodi. Molto interessante e approfondito. 

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