Una cuccagna chiamata rimborso elettorale

Creato il 02 febbraio 2012 da Oblioilblog @oblioilblog

Nell’aprile del 1993, un quesito referendario proposto dai Radicali propone di abolire il finanziamento pubblico ai partiti, introdotto nel 1974 per arginare il fenomeno delle tangenti tra privati e politici. A furor di popolo, l’Italia approva: 90,1% i sì, quorum sfondato perché si reca alle urne il 77% dei votanti.

Ma quello che era uscito dalla porta, con un bel calcione, rientra dalla finestra. Con la legge 515 del dicembre del ’93, i partiti istituiscono il rimborso elettorale. Ci si aspetta, visto la nomea rimborso, che sia risarcito quanto speso e che questo debba essere accuratamente certificato. E invece lo Stato foraggia i partiti in base ai voti presi.

Sono quattro le occasioni in cui lo Stato è costretto a pagare: elezioni della Camera, del Senato, del Parlamento Europeo e del Consiglio Regionale. Nel corso degli anni la quota di rimborso per voto ha subito un’impennata notevole: 800 lire all’inizio, 4 mila poi e infine 5 euro del 2002, per adeguarsi alla nuova valuta.

Dal 1974 a oggi i partiti hanno ricevuto dallo Stato 6 miliardi di euro, 12 mila miliardi di lire. Stando ai calcoli della Corte dei Conti, tra il ’93 e il 2008 le compagini politiche hanno speso per le varie campagne elettorali 579 milioni di euro. Ma ne hanno incassati 2.254, quattro volte tanto. 

Nel 2006 si è verificato l’ultimo atto dello scempio: un blitz del Parlamento ha stabilito che i contributi, emessi annualmente, continuano a essere erogati per la tale legislatura anche se questa finisce prima del suo termine naturale. E, ovviamente, si accavallano con quelli nuovi scaturiti dalle nuove elezioni.

I rimborsi pubblici sono la principale fonte di sostentamento dei partiti e occupano mediamente l’80% delle entrate totali. Il problema è poi come vengono gestiti questi soldi che provengono dalla collettività. I casi del senatore arraffone Lusi e degli investimenti leghisti in Tanzania hanno risollevato la questione.

I bilanci sono revisionati sia da cinque responsabili di Camera e Senato sia dalla Corte dei Conti che però hanno poca voce in capitolo per quanto riguarda multe e punizioni. Paolo Bracalini, uno dei revisori, si è espresso così nel libro Partiti Spa:

Molto spesso noi riceviamo dei bilanci sui quali è apposta una firma, quella dell’amministratore del partito, ma non possiamo verificare che ci sia stata effettivamente un’assemblea di approvazione, chi vi ha partecipato, se il bilancio è stato esaminato o meno. Chi redige il bilancio se la canta e se la suona.

Il finanziamento pubblico dei partiti, mascherato da rimborso, deve essere abolito. Allo stesso tempo deve essere regolato seriamente il finanziamento privato, evitando il sorgere di un lobbysmo fuori controllo. Devono essere istituiti organismi più severe per il controllo dei bilanci dei partiti e devono essere stabilite sanzioni dure in caso di sgarri.

Fonte: Il Fatto Quotidiano e Libero


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