Un lavoro ben fatto è ricchezza di tutti, diceva Anselmo, anarchico e muratore fine. Anche lui, nel 1970, la casa se l’era fatta da solo. E la casa dove io sono nato fu costruita da mio babbo. E nel paese dove sono cresciuto ogni contadino si è fatto la sua casa, e si vede bene ancora adesso, quadrati sghembi come sono, con improbabili accessi – qualcuno nei suoi disegni a mente si era dimenticato il posto delle scale – con cucine immense e umidi salotti abbandonati.
Visto dalla Val di Taro – e dal primo dopoguerra -, costruirsi una casa non è una favola e nemmeno una storia che val la pena di raccontare: è solo un pezzo di vita quotidiana (e dura).
Visto dall'oggi farsi una casa, fare qualcosa che occupi nel fisico, nella mente, nell’anima è un'azione eroica. Cominciando con tutti i permessi da chiedere e ottenere. Continuando con tutto ciò che occorre fare giorno per giorno per qualcosa che, se saprai correggere i tuoi errori, vedrai non il prossimo anno ma fra dieci lunghissimi anni, in cui molte cose cambieranno intorno e dentro di te.
Perché alla fine ciò per cui ti sei impegnato accada, perché ciò che alla fine vedrai e ognuno vedrà potrà essere considerato qualcosa di ben fatto, di fatto a regola d’arte, occorrono doti che non compaiono nel prontuario di questa contemporaneità.
Occorre pazienza, dedizione, fedeltà, costanza, fantasia, fisicità, accettazione della fatica duratura, rifiuto del disinganno. Umiltà.
Chi tra i lettori si sente in coscienza di accollarsi la banale ma ciclopica impresa che Riccardo e Angela hanno portato a termine?
Io so che non saprei farlo, che non saprei più farlo. Sulla non favola e non storia dei miei amici ci ho pensato su, e sento che questa è una mia menomazione. Sento che non è bene, né per me, né per gli altri, che io non ne sia capace. Non è cosa buona e giusta.
Avere mani forti e sguardo lungo, pazienza tenace e cuore fedele basterebbe a cambiare il mondo. Da qualunque punto di vista si guardi al mondo...