Una Fragola al cinema: Magic in the Moonlight

Da Strawberry @SabyFrag

Woody Allen è come il Natale, quando arriva arriva. Anche quest’anno non ci fa mancare una sua pellicola dal titolo sognante, Magic in the Moonlight. E pur dovendo constatare ancora una volta che i fasti del miglior Allen sono lontani, Magic in the Moonlight si rivela un film molto piacevole, delizioso in diverse sue parti, nel quale si ritrovano, sebbene in tono minore, tutte quelle caratteristiche del cinema alleniano che tanto abbiamo imparato ad amare. A completare le note positive del film i due attori protagonisti, Emma Stone nei panni di una graziosa sensitiva e un Colin Firth misantropo e più affascinante che mai, e la costa del sud della Francia da cartolina.

Titolo: Magic in the Moonlight
Regia: Woody Allen
Anno: 2014
Paese: USA
Cast: Colin Firth, Emma Stone, Simon McBurney, Eileen Atkins, Hamish Linklater

Nel 1928 il famoso illusionista Wei Ling Soo, nome d’arte sotto il quale si nasconde l’inglese Stanley Crawford, viene chiamato dal suo amico prestigiatore Howard per smascherare una giovane sensitiva. La ragazza, di nome Sophie Baker, ha infatti completamente stregato una ricca famiglia della Costa Azzurra, strappando addirittura una proposta di matrimonio dal più giovane dei membri, e li ha convinti sulla possibilità di predire il futuro e parlare con i cari estinti. Misantropo della peggior specie, Stanley rimane fin da subito folgorato dalla giovane, piena di giovinezza, brio e astuzia, ma cerca in tutti i modi di scoprire quale sia il suo trucco, incapace di ammettere che Sophie abbia dei veri poteri. Ovviamente il trucco c’è, ma la vera magia sarà quella che nascerà tra i due.

In questo film Allen torna in Europa e alle atmosfere anni ‘20 che tanto avevano fatto la fortuna di Midnight in Paris, insieme all’elemento del magico e dell’illusione già presenti in suoi film come Scoop e La maledizione dello scorpione di giada. Le atmosfere e i luoghi del film, realizzati attraverso una fotografia sognante e dai toni imbevuti di sole che ben si sposa con il candore della giovane Sophie e dà a tutto quella magica patina vintage, sono i più adatti alla storia raccontata: a quel tempo, infatti, la Francia del Sud era il luogo di villeggiatura di moltissime famiglie benestanti inglesi e americane, terreno fertile per imbonitori e illusionisti. Tra charleston e champagne si muovono due personaggi dai tratti carichi ed eccentrici. Stanley Crawford è un petulante amante delle ragione e della concretezza a ogni costo, che fa della sua maestria nell’arte dell’illusione il mezzo con cui manifestare tutto il suo disprezzo per il genere umano e il cinismo verso una vita che non sembra mai regalargli nulla di  piacevole, mero passaggio su questa terra di un uomo con i piedi saldamente piantati al suolo. Sophie Baker è un peperino dall’aria trasognata, una ragazza incantevole che gioca molto con il suo fascino da enfant terrible per volgere le cose a suo piacere, ma che sa stupirti con modi naif ed entusiasti di fronte a quello che la vita le offre. Il loro incontro dara inizio a uno scambio ininterrotto di battute e battibecchi con cui i due tenteranno di difendere la loro visione del mondo e dell’esistenza umana, senza rendersi conto che ogni loro confronto intaccherà di volta in volta le loro idee e convinzioni, spingendoli a cambiare e a vedere ogni cosa con occhi nuovi e a cadere nella trappola romantica che il destino ha preservato per loro, in barba alla logica più schiacciante. Sarà Stanley, naturalmente, quello che verrà maggiormente colpito dall’incontro con Sophie, la quale riuscirà a spingerlo ad aprirsi a quei sentimenti di cui l’uomo non aveva mai saputo cosa farsene a punto da ritenerli addirittura inutili. La canzone di apertura del film, “You do something to me” cantata da Cole Porter, è esplicativa della trasformazione che avverrà nel famoso illusionista, ma anche del potere magico che l’amore opera in ognuno di noi. Niente di eccessivamente sdolcinato, naturalmente: il cinismo del personaggio non retrocederà di un passo nemmeno di fronte a una proposta di matrimonio.

Se i due personaggi paiono ricalcare le mosse di altri protagonisti di Allen, la loro collaudata contrapposizione si fa complementare, perfetta per creare quel gioco da rom-com sugli opposti che si attraggono che potrà apparire scontata e piuttosto banale, ma che in questo caso viene contrassegnata da una marca stilistica di livello, con dialoghi curati nel dettaglio e mai banali, battute calzanti e incisi  sempre appropriati, che arrivano al momento giusto, quando proprio te li aspetti. A questo si aggiunge l’interpretazione di attori come Colin Firth e Emma Stone, che tengono il ritmo del film e le sue fila altrimenti poco coese. Colin Firth dove lo metti sta bene, ma come misantropo snob inglese degli anni ‘20 è assolutamente affascinante e irresistibile. La sua controparte femminile Emma Stone è una delizia non solo per gli occhi, un ninfa che si muove con grazia ma anche con una buona dose di autoironia e consapevolezza di sé, rendendola piacevole ma mai stucchevole o, peggio, una macchietta.

La piacevolezza che questi elementi donano al film non impedisce comunque di vedere gli evidenti limiti di una produzione che ormai sembra ripetersi stancamente in schemi sempre molto simili e autoreferenziali. Dopo aver tentato di dare uno sguardo diverso, al femminile e in un presente fatto di crisi economiche e non, con Blue Jasmine, Allen decide di tornare su un terreno che conosce bene e che gli comporta il minimo impegno, realizzando il compitino senza dare ulteriore spessore alla sua opera che già presenta delle basi tutto sommato promettenti. Il risultato è un film che ruota sul duetto pungente e e totalmente inglobante la scena dei due attori protagonisti e che lascia sfocato tutto il resto, un lavoro che avrebbe bisogno di un ulteriore spessore e ordine narrativo.

Ciononostante, senza girarci troppo attorno, Magic in the Moonlight ha il pregio di quei film dal tocco leggero ed elegante, dalle aspirazioni di puro intrattenimento purché fatto con intelligenza, che “rassicurano” lo spettatore proprio nella sua schematicità ciclica. L’intento è fin da subito chiaro: si tratta di una commedia dalle velleità romantiche, leggera ma con stile, ché si parla sempre di Allen e la scrittura è lì a testimoniare una qualità tutt’altro che scontata in questi tempi, dove la magia e i trucchi da prestigiatore sono strumenti per creare un’atmosfera di fuga dalla realtà e dalla vita quotidiana, in cui rifugiarsi per un paio di ore e lasciarsi andare a sogni ad occhi aperti. Una vicenda di altri tempi dove trovano espressione tutti i temi cari ad Allen, dalla misantropia allo scontro continuo tra ragione e sentimento in un tentativo, puntualmente fallito, di spiegare l’amore tramite l’intelletto e l’uso della fredda logica, ma che è soprattutto una difesa dei sogni e del piacere squisitamente umano di evitare di sapere troppo della vita, per paura che quest’ultima si spogli di tutti i suoi incantesimi e ci appaia davvero priva di senso.

Magic in the Moonlight non è il miglior film di Allen, né uno dei migliori e men che meno uno dei più innovativi, e farà storcere il naso a molti alleniani della prima ora e anche della seconda. Eppure lo stile c’è e insieme alla realizzazione e alla storia del film ripagano lo spettatore che ne accetta le premesse evidenti fin dai primi minuti del film. Una rom-com di qualità, un gioco intellettuale e ironico sulle illusioni dell’amore e della realtà in cui viviamo, con cui concedersi un momento di spensieratezza… nella speranza, però, che il prossimo film di Allen riesca a darci qualcosa di più.

Voto: 7


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