Una gemma dal cuore di tenebre

Creato il 14 novembre 2013 da Media Inaf

Hubble firma un altro capolavoro: la migliore immagine mai realizzata dell’ammasso globulare M15. In orbita attorno al centro della Via Lattea, M15 è uno fra gli ammassi più antichi e più densi: 12 miliardi di anni l’età, oltre 100 mila le stelle che lo abitano.

di Marco Malaspina 14/11/2013 18:25

Messier 15 immortalato dallo Hubble Space Telescope. Crediti: NASA/ESA

Certe volte le parole non servono. O meglio, vengono dopo. Molto dopo. E questa è senz’altro una di quelle volte. Un’opera come il quadro qui a fianco – cliccate per ingrandirla e navigarla – meriterebbe una sala tutta per sé al Guggenheim o al MoMA. Presentata al pubblico in queste ore dal team di Hubble, l’impareggiabile telescopio spaziale NASA/ESA, è una tela digitale di 3749 x 4028 pixel che ritrae – con accuratezza senza precedenti – uno fra i più antichi e concentrati ammassi globulari che si conoscano: Messier 15, un alveare sbarluccicante nel quale sciamano oltre 100 mila stelle d’ogni fatta e colore.

Si trova a 35 mila anni luce da noi – in direzione della costellazione di Pegaso, il cavallo alato – e ad attraversarlo s’incontrano roventi stelle blu e tiepide stelle dorate, sempre più fitte mano a mano che ci si inoltra verso il centro dell’ammasso: un cuore brillante che racchiude un segreto oscuro. È dal 2002, infatti, che studiando le immagini di Hubble gli astronomi si sono accorti della presenza di qualcosa in agguato, là dentro, dove le stelle si fanno più dense. Forse un insieme compatto di stelle di neutroni, o forse qualcosa di ancora più esotico: un buco nero di massa intermedia.

Guardando attentamente, appena sulla sinistra del nucleo centrale, ecco poi un’incantevole “lacrima blu” che sbava con seducente noncuranza il volto puntinato di M15. È Pease 1, una nebulosa planetaria: una fra le rarissime nebulose planetarie delle quali si conosca l’esistenza all’interno d’un ammasso globulare.

Anche se non li dimostra, M15 ha la bellezza di 12 miliardi di anni. Per cogliere ogni minimo dettaglio del suo affascinante volto di “vecchio”, Hubble ha dovuto far ricorso a occhi che pochi artisti possono permettersi: la Wide Field Camera 3 e l’Advanced Camera for Surveys, grazie ai quali lo sguardo del telescopio spaziale è potuto spaziare su uno spettro che va dall’infrarosso all’ultravioletto.

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina