Una giornata a Villa Ghirlanda.

Da Borful

©2014 Fulvio Bortolozzo.

Sabato 17 maggio 2014 si è tenuto al MuFoCo di Villa Ghirlanda a Cinisello Balsamo, il convegno internazionale "Quale museo di fotografia oggi?" Tutte le informazioni tecniche si possono consultare ai link inseriti nella frase precedente.
Nel seguirne i lavori ho ricavato davvero molti stimoli e riflessioni che non è proprio possibile esprimere compiutamente in questa sede senza scivere un post talmente lungo da risultare assolutamente indigeribile anche ai miei lettori più affezionati e volonterosi. Mi limiterò quindi a qualche spunto tra i più interessanti che mi vengono in mente.
Innanzitutto, mi preme ringraziare Roberta Valtorta e il suo staff per l'impegno che mettono in ciò che fanno. L'accoglienza è stata ineccepibile. La sala del convegno era predisposta con attenzione, fatta salva l'assenza della connessione Internet rilevata dall'ultimo relatore olandese (punto su cui tornerò in seguito). Le traduzioni simultanee sono state condotte con professionalità e precisione, rendendo realmente agevole seguire gli interventi degli ospiti stranieri. Il buffet della pausa pranzo ha dato concreto ristoro in spazi adeguati per poter anche conversare con gli intervenuti godendo in qualche misura della splendida giornata di sole.
Sotto il profilo organizzativo direi quindi che tutto è filato liscio. Entrando più nel merito dei lavori, devo però rilevare che lo spazio del mattino, superati gli imprescindibili saluti delle autorità, è stato fin troppo occupato da ottimi relatori italiani, la sempre bravissima Marina Miraglia in primis, impostati però alla "vecchia maniera", consegnando così a Martin Barnes del Victoria and Albert Museum di Londra e a Sandra Phillips del MoMA di San Francisco un pubblico già ben riempito di concetti anche estremamente complessi, divulgati con letture non certo attoriali di lunghi e densi documenti. Per fortuna Martin e Sandra vivono nel terzo millennio e quindi hanno supportato i loro ottimi interventi con slides pertinenti ed efficaci nell'accompagnare i loro peraltro più pragmatici ed operativi discorsi.
Nel pomeriggio Karen Irvine del MCA di Chicago ed Elina Heikka del FMP di Helsinki hanno allungato ulteriormente le distanze tra le esperienze museali nostrane e quelle del resto del mondo occidentale. Addirittura l'ironia di Elina ci ha fatto intravedere accostamenti surreali tra i centri commerciali, in stile IKEA con tanto di ristoranti per gourmet culturali, e la funzionalità quotidiana di un museo che vuole essere davvero contemporaneo anche nel modo di relazionarsi con i cittadini-consumatori. A seguire, Duncan Forbes del Fotomuseum di Winterthur in Svizzera ha dato la dimensione finanziaria in cui si inserisce la musealità oggi. Di Svizzera non ha detto molto, d'altronde si ricorderà la famosa battuta di Orson Welles ne "Il terzo uomo", ma in compenso il suo ritratto economico sentito qui in Italia risulta davvero impietoso.
Pausa gelato non prevista. Mandarino e cioccolato bianco. Sempre cinese, come a Reggio Emilia. Sempre 2 euro. Rientro, arrivo in sala di una politica locale, in diretta da New York. Roberta Valtorta rileva il rientro di partecipanti risultati assenti. Forse perché era all'ìmprovviso tornata la politica a farsi due conti sulle quantità di presenze?
Francesca Fabiani del Maxxi di Roma ci spiega che la fotografia, in sè e per sè, lì da loro non esiste. Si chiama "arte contemporanea" o "architettura". Scoraggiante. Accompagna la sua relazione con immagini dalla collezione, tutte della sezione "architettura", dove lei opera. Tutte di nomi noti, e loro cooptati prossimi, della cosiddetta "Scuola del paesaggio italiano" originatasi all'epoca di Ghirri e proseguita in varie declinazioni fino ad ora.
In ultimo, ma davvero non per ultimo, spunta fuori lo spumeggiante intervento di  Bas Vroege di Paradox a Edem nei Paesi Bassi. Non un museo, ma una felice gabbia di matti direi. In pochi minuti consegna i musei come li conosciamo all'archeologia. Esiste non da oggi, ma da vent'anni ormai, un intero mondo là fuori nella nel virtuale e nella rete dove il fotografico si declina e confronta con una somma crescente di tecnologie e modi di produzione e fruizione. Un fuoco pirotecnico, rapidamente spento però dall'assenza di connessione Internet della sala e dal rilievo finale di Roberta Valtorta che dichiara aver in effetti lasciato a prender polvere sugli scaffali, disinteressandosene, CD-ROM e altre diavolerie elettroniche non ai sali d'argento e non visibili direttamente senza l'ausilio di macchine e programmi specifici.
Questo è il punto. Scrivo queste righe in un blog, su Internet. Nell'epoca geologica precedente le avrei scritte su un foglio per me, la mamma e i 4 amici che qualsiasi cosa faccia mi vogliono bene lo stesso, perché sono il classico signor Nessuno. Sarà un bene? Sarà un male? Tranne che nelle logiche di valenti, perché valenti lo sono per davvero, studiosi italiani che si trovano poi magari anche a condurre dei musei, per la verità con uno stile un pochino Luigi XIV, in tutto il resto del pianeta ci si confronta giorno per giorno con ciò che accade, si perseguono politiche di conoscenza, riconoscimento e valorizzazione senza confini  ed abbassando al massimo grado le barriere tra i cittadini e ciò che si desidera trasmettere per elevare il loro "bagaglio culturale" (anche se l'idea di "bagaglio" oggi mi fa un po' orrore...).
Da noi si discute: se la fotografia sia arte e quale arte sia; di quanti denari debba cacciare la politica per mantenere in piedi i musei, cioè dei posti di lavoro, come all'Alcoa di Portovesme per capirci; di come fare se i pochi eroi autoreferenziali che reggono le cose buone esistenti finissero per gettare la spugna di fronte alla totale ingratitudine delle istituzioni e all'indifferenza della cittadinanza. Sì perché il MuFoCo non è perfetto, ma dietro il MuFoCo, dovesse sparire, anche così com'è condotto oggi, c'è il parco di Villa Ghirlanda con coppiette, persone per bene e tamarri intenti beatamente a godersi il sole ignari, e ignavi, di tutto e di tutti. Italiani...



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