Se pensiamo al significato che comunemente diamo alla parola “mostro”, ci accorgiamo che noi stessi molto spesso la utilizziamo per definirne le azioni. Il mostro per antonomasia è il serial killer, colui che agisce contro la comunità perpetrando il più orribile dei crimini, l'omicidio (e anche di peggio, a volte, come le cronache c'insegnano). Ecco, il protagonista di “Cabal” è Boone, un uomo accusato di essere un serial killer. Confuso e incapace di ricordare, credendo di non avere altro posto dove andare, Boone si rifugia a Midian, una necropoli abitata da mostri che lì vivono, lontani dallo sguardo del mondo. Sono creature che sembrano tratte da un bestiario medievale, e ognuna di esse è peculiare, fantastica, ben lontana dall'ideale di omologazione che caratterizza il nostro mondo. Midian è una vera comunità dove, e non potrebbe essere altrimenti, impera l'accettazione: la bruttezza e la deformità, le contraddizioni, sono parte della sua realtà. Ora della fine, com’era prevedibile, viene fuori che i veri mostri sono altri; i mostri sono là fuori.
Per Barker c'è della poesia nel diverso, persino nel macabro. Si è cercata una spiegazione a questo nella sua omosessualità, ma lui stesso ha sempre cercato di ridimensionare in parte questa interpretazione, sottolineando che non sono solo gli omosessuali ad essere percepiti come dei diversi all'interno della società. Un pensiero del genere è senz'altro vero e gli fa onore, ma se oggi l'omosessualità è ancora capace di creare conflitti sociali, nonostante sia stata sdoganata dal profondo modificarsi del costume e della morale corrente, grazie anche ai personaggi pubblici e alle celebrità che nel tempo hanno fatto coming out, all'epoca doveva essere causa di grosse discriminazioni (ricordiamo che si stava diffondendo a macchia d’olio l’HIV: nacque proprio in quegli anni la paura incontrollata dell'AIDS).
“Imagica” è anche il punto di partenza ideale per affrontare un altro binomio interessante, ovvero Clive Barker e la religione. Anche se a volte di primo acchito non è così evidente, Barker parla spesso di religione, o meglio di sentimento religioso. “Imagica” è la storia di Dio in chiave fantasy, in un regno dove però esistono anche altre divinità: il suo è un Dio egomaniaco privo d'amore e di gioia che ha realizzato un universo fatto a sua immagine al solo scopo di autoglorificarsi, e che a dire il vero somiglia abbastanza al Dio severo e vendicativo dell'Antico Testamento e molto poco (anzi per niente!) a quello compassionevole dei Vangeli, se non fosse che anche lui ha un figlio; la scusa perfetta perché Barker possa proporre anche la sua particolare idea della Trinità, come al solito qualcosa di assolutamente folle. Hapexamendios, il Padre e principale elemento maschile di questo curioso pantheon, è imprigionato nel suo mondo, forse una descrizione del suo stesso inconscio; la sua vita è un'eterna lotta contro il femminile, personificato dalle Dee che cerca di eliminare, causando così la propria stessa rovina, perché in natura c'è bisogno di equilibrio... e nemmeno gli universi di Barker fanno eccezione. Il Figlio, poi, è una caricatura di Gesù: laddove l'uno scelse di bere “dall'amaro calice” fino in fondo, l'altro sceglie di dimenticare chi è, qual è il proprio posto e il proprio destino, salvo poi essere “redento”... dall'amore! Non solo quello spirituale, of course... altrimenti non staremmo parlando di Barker....CONTINUA