Con le celebrazioni del 150° anniversario dell’unificazione, finalmente sembra esser giunto nel nostro Paese il momento di riportare nella giusta luce una verità scomoda, parecchio scomoda dal momento che si parla di una vera e propria guerra civile andata in scena tra il 1860 e il 1870. E’ questo il periodo in cui si opposero le due Italie che ancora oggi non riescono ad unificarsi. Da una parte l’Esercito Piemontese intento a reprimere quel movimento cha a scuola abbiamo conosciuto sotto il nome di brigantaggio e dall’altra quello stesso movimento civile e di classe che comprendeva cafoni e “galantuomini”, braccianti e latifondisti che gli ignoranti di oggi (cioè i leghisti) ancora si ostinano a definire brigantaggio. Il contendere era una rivolta sociale originata dall’impresa di Garibaldi che nei suoi decreti promise le terre ai contadini, promesse che poi dai “piemontesi” non furono mai mantenute, al punto che lo stesso Garibaldi in una missiva del 1868 ad Adelaide Cairoli ammise: “Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Ho la coscienza di non aver fatto del male, ma nonostante ciò non rifarei la via dell’Italia Meridionale temendo di essere preso a sassate, essendosi là cagionato solo squallore e suscitato solo odio”. Ovvio che in una simile contrapposizione i veri sconfitti – l’ex Re delle Due Sicilie, Francesco II e Pio IX con lo Stato Pontificio - soffiavano sul fuoco in un tentativo di restaurazione delle vecchie egemonie.
Di quel decennio di sangue e orrori che a lungo la storiografia e i vincitori del nord descrissero soltanto come una insorgenza borbonica, si trovano tracce inconfutabili presso l’Ufficio Storico dell’Esercito dove sono raccolti i documenti dell’epoca, documenti che Massimo Lunardelli per quel che concerne la parte epistolare (lettere e telegrammi inviati dai soldati ai loro superiori) ha raccolto nel libro “Guardie e ladri. L’Unità d’Italia e la lotta al brigantaggio”. Un libro (che personalmente non ho letto) ma che stando ai pareri della critica è “bello e terribile che testimonia, proprio dalla parte dei vincitori, come l’unificazione nazionale avvenne solo formalmente”. Sostanzialmente le divergenze di carattere, costume, cultura, adattabilità fra nord e sud non furono mai appianate (mala atavico che ancora oggi ci trasciniamo dietro) al punto da spingere il giornalista svizzero Marc Monnier in visita nel nostro meridione a scrivere “quegli uomini dai cappotti bigi, poveri, freddi, ordinati, parlanti un dialetto quasi francese, troppo diversi dai veementi, rumorosi, gloriosi ed eroici zingari in camicia rossa, desiderosi di vivere bene prima di morire”.
C’è niente da fare, da subito, da prima dell’unificazione vera e propria il meridione era vissuto dalla gente del nord come una propaggine africana, tant’è che gente della borghesia illuminata e intellettuali reputarono il Sud e le sue genti “un’Africa popolata da barbari irredimibili. Gente da colonizzare”. (…) “L’argomento legato al malgoverno borbonico, in realtà responsabile primo del degrado delle campagne, viene presto abbandonato a favore di una lettura in chiave di inferiorità etnica. E’, in presa diretta, la nascita della teoria delle due Italia: l’operosa, europea celtica gente che s’attesta sin sul Tronto contrapposta ai barbari del meridione”. Con queste premesse, è ovvio che il nord intero considerava l’annessione del sud un’eredità da prendere in parte, ovvero tenersi la terra e buttare a mare i terroni, cosa che puntualmente è accaduta. Tutto questo scatenò il decennio da guerra civile vissuto dalla provetta Italia e in ciò non si trovarono che poche voci dissonanti dal coro, voci di protesta civile che come sempre arrivavano dai soliti mazziniani e socialisti, dalla sinistra di sempre e come sempre votata alla sconfitta. Infatti quella sinistra “non riuscì ad arginare massacri e atrocità che, in nome di una terribile Realpolitik, acuirono il solco già esistente fra le due Italie”. Una profonda lacerazione del tessuto sociale intero di cui ancora oggi portiamo ben vistose le ferite, non foss’altro perché ancora nessuno si è degnato di chiedere scusa e perdono e anzi oggi l’erudita popolazione leghista continua ad infierire come se avesse dei meriti nella gestione del Paese senza rendersi conto che è proprio essa la zavorra dell’Italia civile.
“Tolta la dolcezza del clima e le bellezze naturali, questi paesi sono orrendi in tutto e per tutto: gli abitanti sono gli esseri più sudici che io abbia mai visto; fiacchi, stupidi e per di più con un dialetto che muove a nausea tanto è sdolcinato…”
Carlo Nievo – 1860
“Dal Tronto a qui ove sono, io farei abbruciare vivi tutti gli abitanti; che razza di briganti!”. Ippolito Nievo - 1860 www.italiaunita150.it/