Una lettera di Alessandro Corradino e una mia replica

Da Narcyso

UNA LETTERA E UNA REPLICA

Alessandro Corradino commenta con questo suo intervento, il mio post in cui comunicavo di essermi cancellato da facebook. QUESTO.

Pubblico le sue parole, ringraziandolo, e una mia replica.

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Caro Sebastiano

è difficile, credo, pensare a una critica, come dici tu, come “corrispondenza”. Forse sarebbe pure auspicabile ma non rientra negli interessi dei poeti, e nemmeno in quelli dei critici.

Esiste, probabilmente, tutto un giro di amicizie poetiche che ha tolto una certa libertà di giudizio. E` molto raro che qualcuno stronchi qualcuno. Le recensioni sono sempre positive, infatti. I poeti si leggono fra loro e i critici leggono i poeti conosciuti. Esistono le eccezioni di qualche rivista di poesia dove il critico propone nomi nuovi di poeti.

Non riesco a capire questa tua frase: “Non so se mi interessa essere letto da uno sconosciuto”. Non la capisco perché rientra in un discorso di appartenenza un po´ elitaria e, forse, anche in un´idea alta di poesia. Personalmente se dovessi in futuro pubblicare una raccolta poetica mi piacerebbe essere letto da chi non mi conosce, vorrei essere letto anche dai non poeti. E vorrei pure comprarmi io stesso 1000 copie e gettarle in una piazza qualsiasi di una qualsiasi città italiana. Sporcare la poesia, quindi.

Questo mica vuol dire mandare al diavolo le letture e la crescita fra amici, no…vuol dire più semplicemente qualcos’altro: estendere la dimensione della lettura fuori dai circoli consueti. Io con gli amici miei avrei difficoltà a parlare di poesia. Con loro parlerei più volentieri della vita mentre si mangia si beve si scherza.

Se si accettassero queste sommarie conclusioni si capirebbe che non ha molto senso uscire da facebook o pensare che quella virtualità consista in una facilità di ricerca o in un “mi piace”. E questo perché dall’altra parte c’è qualcuno che quegli amici se li è scelti non a caso e con i quali può parlarci. Che sulla bilancia uno dei piatti di sfasciume pesi più dell’altro lo riterrei irrilevante se posso avere nell’altro piatto qualche sorpresa che prescinda da ogni mia presa di posizione o giudizio o idea.

Questo significa anche non solo che bisognerebbe esporsi ma anche il disinteresse verso coloro i quali, in messaggi privati, non mettono faccine piacevoli. Mi pare la tua un´idea troppo causa-effetto dipendente.

La necessità di essere cercato e tutto il resto, ancora una volta, si muove dentro una dimensione complessa dove insieme a quel desiderio convive anche il bisogno di cercare a sua volta. L´incontro è l´incontro di un insieme di desideri che emergono da più parti.

Su facebook che ciò possa avvenire tu dici che è “troppo banale, troppo superficiale”. Non e` vero, dipende da coloro i quali si incontrano. E´ la stessa cosa di ciò che avviene nella vita stessa. Anzi, paradossalmente, l’assenza di visualità dovrebbe permettere un maggiore impegno.

Ricordati che noi qui ci siamo incontrati e, per me, è stato un evento. Rappresenta un caso minoritario? E allora?

tuo, Alessandro.

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Caro Alessandro, la tua opinione è rispettabile e la pubblico, appunto, come punto di vista su un modo di vedere le cose che è solo mio e non pretende di essere condiviso.

Ribadisco alcuni punti, non volendo apparire nel giusto a tutti i costi.

Per come la vedo io, ormai dipendiamo da una forma di comunicazione codificata e semplificata, e facebook è uno di questi modi. Non cerchiamo veramente gli altri, non entriamo in intimità con le parole degli altri perché nessuno lo richiede e lo auspica. Corrispondenza vuol dire sforzarsi di capire le ragioni che non sono nostre e aspettarsi che gli altri facciano lo stesso. Ho disattivato i commenti in questo blog proprio perché non sopporto più questa comunicazione da sms, questo stillicidio di senso. La lettera mi sembra la forma più giusta per replicare; replicare vuol dire ragionare, motivare, corrispondersi, appunto, uscire dalla logica dell’opportunismo – chi si scrive è sempre alla pari -.

Ho dei limiti, come tutti: il più importante credo sia quello di non riuscire ad ammortizzare le frustrazioni, e di reagire istintivamente. Non credo che la retorica delle parole possa essere sempre un’arma efficace. A volte bisogna fare qualcosa piuttosto che dire, bisogna fare “poesia”, prendere in mano la zappa invece della penna, scegliere che cosa vale, che cosa ci serve veramente. Per fare questo dobbiamo capire il senso delle esperienze, superarci e andare avanti.

Ecco, scelgo questo, ora: lavoro, libertà, poca immagine, poche presentazioni, pochi amici – non quelli che scelgo io ma quelli che mi hanno scelto e che durano -, ragioni del cuore, a costo di apparire burbero e schietto fino all’autolesionismo – ma i bambini mi conoscono, e solo del loro giudizio mi fido -.

Io sono sempre qui, disponibile come sono sempre stato, aperto alle ragioni dell’umano più che alle ragioni dell’arte, certo, fragile nell’accogliere incomprensioni, voltafaccia – che sono, in fondo, espressioni delle debolezze altrui – umanamente rigoroso quando mi rendo conto di essere stato usato per un fine, per un opportunismo di comodo.

Ritirarsi non vuol dire scomparire ma scegliere di abitare in uno spazio più silenzioso, dove ogni cosa risuona più forte.

Perché tacere, facendo finta di non aver sentito, di non aver capito? Perché accettare la violenza che si può nascondere dietro le parole? Non è con la violenza che abbiamo costruito un mondo che ci sta collassando addosso? Ci siamo conosciuti attraverso facebook, è vero, ma ho conosciuto poeti anche attraverso libri comprati in una bancarella, gente mi ha scritto da un abisso remoto di tempo… gente che va e gente che viene come un refolo di vento, che non entrerà mai in contatto con te…o che forse ci sarà sempre in uno spazio a parte; distante ma reale.

Non è il mezzo che ci facilita nell’incontro ma il desiderio di incontrare, l’amore che ci porta a percorrere strade tracciate nel deserto, per necessità, per desiderio di specchiarci; per somiglianza, per fratellanza. Se ti sono necessario mi cercherai e mi troverai, perché la necessità non può che venire dal deserto, dalla mancanza, dal bisogno.

tuo Sebastiano

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È senza dubbio per questo che ho tanto bisogno della tua amicizia, amico mio. Ho sete di un compagno che, al di sopra dei contrasti della ragione, rispetti in me il pellegrino di quel fuoco. Ho bisogno di gustare qualche volta, anticipatamente, il calore promesso e di riposarmi, un poco al di là di me, in quel convegno che sarà nostro.

Sono così stanco di polemiche, di esclusive, di fanatismi! A casa tua posso entrare senza indossare uniformi, senza sottomettermi alla recitazione di un Corano, senza rinunziare a nulla della mia patria interiore. Con te non ho da scolparmi, non ho da perorare, non ho da provare (…) Al di sopra delle mie parole maldestre, al di sopra dei ragionamenti che mi possono ingannare, tu consideri in me semplicemente l’Uomo. Tu onori in me l’ambasciatore di fedi, di costumi, di amori particolari. Se differisco da te, non ti offendo, ti accresco. Tu m’interroghi come s’interroga il viandante.

Io che provo, come ciascuno, il bisogno di essere riconosciuto, mi sento puro in te e vengo a te. Ho bisogno di andare là dove sono puro. Non è dalle mie formule né dai miei modi che hai imparato a conoscermi. È l’accettazione di me come sono che ti ha reso indulgente (…)

Ti sono grato di avermi accolto così come sono. Che cosa me ne faccio di un amico che mi giudica? (…)

Amico, ho bisogno di te come di una sommità dove si respira! Ho bisogno di appoggiare ancora una volta i gomiti alla tavola in una piccola locanda di tavole sconnesse (…) vicino a te, e di invitare due marinai, in compagnia dei quali brinderemo nella pace di un sorriso simile alla luce.

Se combatto ancora combatterò un po’ per te. Ho bisogno di te per credere meglio nell’avvento di quel sorriso. Ho bisogno di aiutarti a vivere.

Saint-Exupéry, da LETTERA A UN OSTAGGIO